ARCHIVIO ASTRONEWS: giugno 2008

 

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30 GIUGNO 2008:

100 anni fa l'esplosione di Tunguska

Sui cieli della Siberia un'esplosione da mille bombe atomiche

Tra le ipotesi la disintegrazione di un asteroide, ma anche lo «scontro» con un blocco di antimateria cosmica

Che un secolo fa, in piena Siberia, si sia verificata un’esplosione equivalente a mille bombe nucleari di tipo Hiroshima, e che quel remoto fenomeno rimanga ancora un problema insoluto, malgrado decine di esplorazioni e ricerche, è uno smacco per la moderna ricerca scientifica. Ma proprio questa è la storia della misteriosa esplosione di Tunguska, che il 30 giugno 2008 compie esattamente 100 anni: tante supposizioni, tanti tenui indizi, e ancora nessuna ipotesi definitivamente provata. Caduta di una cometa o di un asteroide? Esplosione di una bolla naturale di gas metano? Oppure, per scivolare sul fantascientifico, collisione fra il nostro pianeta e un grumo di antimateria? O lo schianto di un’astronave aliena? Sul caso Tunguska, negli ultimi anni, se ne sono lette di tutti i colori, da credibili ipotesi pubblicate su qualificate riviste scientifiche, ad articoli e libri di fiction privi di qualunque fondamento. Il centennale del mistero della Tunguska, ancora oggi irrisolto, merita un’attenta ricostruzione dei fatti.

ACCECANTE COME UN SOLE - Il 30 giugno 1908 alle 7,14 del mattino, quando sull'altopiano siberiano è giorno affermato, appare un oggetto simile a un disco solare, con una luminosità ancora più accecante del Sole. Sfreccia da Sud-Est a Nord-Ovest, riempiendo il cielo di bagliori intermittenti blu e bianchi e lasciandosi dietro una scia di fuoco e fumo. Fende l'aria con un sibilo, poi piega verso il suolo e inonda l'orizzonte di un rosso cupo, prima di scomparire con un sordo boato. Alcuni riferiscono di aver visto distintamente il disco luminoso, contornato da tutti i suoi fenomeni accessori; altri lo percepiscono soltanto indirettamente, come un lampo, una colonna di fumo, un tremendo tuono che fa vibrare l'aria e il terreno. L’oggetto sembra cadere in una zona disabitata, immediatamente a Nord di un corso d'acqua riportato in tutte le carte geografiche, Tunguska, uno di quei grandi fiumi che dalle alture orientali si tuffano nel bassopiano siberiano a ingrossare le acque dello Jenisej. Il paesaggio è quello tipico dell'altopiano siberiano: catene montuose e vallate che si succedono monotone, ricoperte dalla taiga, la fitta foresta di conifere secolari. Tutto attorno, una complessa rete fluviale, punteggiata da paludi malsane. La zona, d’inverno, è il regno delle nevi e dei ghiacci, con temperature che scendono oltre i 50°C sotto lo zero. In quella regione, che ai primi del secolo era in gran parte inaccessibile e in parte abitata da popolazioni di cacciatori nomadi, l'oggetto non identificato sceglie una depressione naturale per scatenare tutta la forza del suo impatto: una conca circondata da colline e montagne e ricoperta da alte conifere. Le esatte coordinate geografiche, determinate 19 anni dopo il fatto, sono 60° 53’ 09” di latitudine Nord; 101° 53’ 40” di longitudine Est.

LA FORESTA CARBONIZZATA - Il disastro è di vastissime proporzioni: circa 2mila km quadrati di foresta bruciata e devastata, migliaia di animali abbattuti e, stando alle testimonianze locali, molti cacciatori e abitanti di povere capanne feriti e ustionati; ma, a quanto sembra, nessun morto. Ancora oggi, a testimonianza di quel cataclisma, resistono centinaia di tronchi di alberi abbattuti e carbonizzati, a indicare con il loro orientamento gli effetti dell’onda d’urto. I fenomeni luminosi sono avvertiti entro un raggio di 600-700 km; quelli acustici uditi fino a mille km di distanza. Per dare un'idea della portata del fenomeno, se fosse accaduto a Roma, sarebbe stato visto da un capo all'altro della penisola e udito da Francoforte a Tripoli, da Barcellona a Belgrado. Il mondo è e rimarrà per parecchio tempo inconsapevole dell'evento, ma i sensibili pennini dei sismografi e dei barografi dell'Europa intera registrano l'accaduto che è interpretato come uno dei tanti terremoti lontani. Molti anni più tardi, saranno gli studi comparativi delle registrazioni sismiche e barometriche, a permettere di calcolare la potenza scatenata dall'esplosione della Tunguska che fu di circa 13 mila kilotoni, equivalente cioè a un migliaio di bombe come quella sganciata su Hiroshima. Le notti successive un altro e più appariscente fenomeno s’impone alle popolazioni europee e asiatiche delle alte latitudini: molte ore dopo il tramonto del Sole persiste una luminosità crepuscolare di straordinaria intensità. I giornali parlano di «fantasmagorici bagliori notturni» e gli astronomi spiegano che, probabilmente, si tratta di aurore boreali connesse all'attività del Sole.

IL CRATERE CHE NON C’E’ - Trascorso il turbine della prima guerra mondiale e della rivoluzione bolscevica, bisognerà aspettare il 1921 perché un ricercatore del Museo di Mineralogia di Petrograd, Leonid A. Kulik, incuriosito dai ritagli ormai ingialliti dei giornali del 1908, decida di compiere il primo sopralluogo nella zona del disastro. Si reca, innanzitutto, nei centri più popolosi ai margini dell'area colpita, alla ricerca di testimoni oculari, e raccoglie una grande quantità di prove. Riesce a ricostruire la traiettoria del corpo, pensa che si tratti di un grosso meteorite che cadendo a terra ha scavato un cratere e ritiene di poterlo scoprire, recuperando anche i frammenti del presunto corpo celeste. Per aver successo nell'impresa occorre una spedizione ben organizzata, in grado di penetrare tra le foreste e le montagne che circondano il luogo dell'impatto. Kulik impiegherà sei anni per convincere i membri dell'Accademia Sovietica delle Scienze a finanziare l'impresa. Ma la ricognizione non dà i risultati sperati: dopo mille fatiche e difficoltà, lo studioso non trova ne’ il cratere, ne’ i frammenti del meteorite.

COMETA O ASTEROIDE? - Per superare queste contraddizioni, comincia a farsi strada un'idea, avanzata nel 1930 dall'inglese J. W. Whipple, che identifica l'oggetto con il nucleo di una piccola cometa avente circa 40 m di diametro, una stima che sarà poi rivalutata da alcuni astronomi favorevoli a questa ipotesi. Un nucleo cometario, ragiona Whipple, penetrando ad alta velocità nell'atmosfera, può dare luogo a un'onda d'urto e a un'esplosione distruttive e, nello stesso tempo, a causa della sua bassa densità e della sua struttura a conglomerato di ghiacci e polveri, può disintegrarsi completamente, disperdendo una grande quantità di piccoli grani solidi. Si spiegherebbero in questo modo il fenomeno delle notti lucenti, il mancato ritrovamento di grossi frammenti meteoritici e l'assenza di crateri da impatto. Questa, ancora oggi, è l’ipotesi sostenuta da molti scienziati russi. Quelli occidentali, invece, propendono per un piccolo asteroide, anche questo esploso e vaporizzato in aria, tra 5 e 10 km d’altezza, che avrebbe lasciato al suolo soltanto tracce microscopiche.

IL MISTERO IN FONDO AL LAGO - La Tunguska ha attratto l’attenzione anche di un gruppo di studiosi italiani coordinato dal professor Giuseppe Longo, un fisico dell’Università di Bologna. Essi, dopo sopralluoghi e analisi, pensano di avere individuato in un piccolo laghetto denominato Cheko, il cratere scavato da uno dei frammenti del presunto asteroide. L’ipotesi, avanzata in un articolo sulla rivista scientifica Terra Nova (agosto 2007), non è condivisa da altri esperti e richiederà ulteriori esplorazioni sul fondo del lago, alla ricerca di eventuali frammenti del corpo celeste, per essere provata. Fra le ipotesi più stravaganti ne esistono due che tuttavia si basano su studi scientifici qualificati. La prima, elaborata da Willard Libby, lo scopritore della tecnica di datazione col carbonio 14, si basa proprio sull’abbondanza di questo isotopo riscontrata negli anelli di accrescimento degli alberi subito dopo il fenomeno: fatto che viene attribuito alle conseguenze di una possibile annichilazione fra la materia terrestre un blocco di antimateria spaziale venuto a contatto con l’alta atmosfera. La seconda ipotesi esotica, avanzata da un gruppo di fisici dell’Università del Texas, riconduce i fenomeni descritti in Siberia nel 1908 allo scontro fra il nostro pianeta e un mini buco nero, come quelli la cui esistenza è stata postulata dall’astrofisico Stephen Hawking.

 

 

21 GIUGNO 2008:

Oggi è il Solstizio d'Estate

Oggi è il solstizio d'Estate, un giorno che riveste un passaggio fondamentale nello scorrere del tempo e nel susseguirsi delle stagioni.

In realtà l'estate astronomica è ufficialmente iniziata a notte fonda, alle 23e59 (Tempo Universale) di ieri, 20 giugno, che per effetto della nostra longitudine e dell'ora legale in vigore nel nostro paese corrisponde alle 01e59 del 21 giugno.
Nel suo passaggio al meridiano, il Sole (che si trova nella costellazione dei Gemelli ai confini delle costellazioni del Toro e di Orione, raggiunge la massima altezza rispetto all'orizzonte: la latitudine del luogo più l’inclinazione dell’asse della Terra rispetto al piano della sua orbita (circa 23°27'). In pratica alle nostre latitudini (circa 44°10'), il Sole si verrà a trovare alle 13e15 (ora del passaggio al meridiano) a 44°10'+23°27'=67°37' sopra l'orizzonte. Al Tropico del Cancro invece il Sole sarà allo zenit (90° sopra l'orizzonte).

Il percorso del Sole in cielo sarà il più lungo di tutto l'anno: oggi, In Italia avrà un’altezza di circa 68° a Milano, 71° a Roma, 73° a Lecce e 75° a Palermo

La parola solstizio viene dal latino Solis statio, ovvero Sole fermo. In effetti per alcuni giorni prima e dopo la data del solstizio l'altezza del Sole sopra l'orizzonte varia così poco da dare l’impressione che il suo moto (in realtà il moto della Terra intorno al Sole) si sia fermato. Il Sole, che rappresenta il fuoco, è al centro di tutte le religioni delle antiche civiltà e rappresenta le divinità positive contrapposte a quelle malvagie e tenebrose. Nell'antichità, quindi, astronomi e sacerdoti, altari religiosi e rudimentali osservatori astronomici, si identificavano.


E' l'apoteosi della "metà chiara dell'anno" (vedi post del 21 marzo); da domani le giornate inizieranno ad accorciarsi, inizialmente di appena 3 secondi poi sempre di più fino ai circa 3 minuti all'equinozio d'Autunno, dove luce e buio si equivarranno!
E' questo anche un periodo che testimonia gli antichi rapporti fra l'Uomo e il Cielo.
Durante la prima parte della notte campeggia verso sud-ovest la costellazione della Vergine, la Spigolatrice, con la sua stella più luminosa, Spica; mentre alto sopra l'orizzonte Il Pastore, con la sua stella principale, Arturo, conduce per il cielo i "septem triones", i sette buoi del Grande Carro.
Giugno, Zogn per noi romagnoli, è il culmine della stagione primaverile, la stagione della rinascita. Giungono a maturazione i primi frutti, il grano inzia ad ingiallire (cita un antico proverbio, tradotto letteralmente dal dialetto: "per San Barnaba - l'11 giugno- il grano perde il piede; secca di notte quanto di giorno") e si ritorna a celebrare i matrimoni.
Legata proprio al solstizio è l'altrettanto antica festività di San Giovanni Battista, che viene sei mesi esatti dopo la festa di San Giovanni Evangelista del 27 dicembre, cinque giorni dopo il solstizio d'Inverno. La notte tra il 23 e il 24 giugno era piena di valenze astrali e credenze superstiziose. I defunti scorazzavano dappertutto, dal momento che i giorni ”si fermavano” incominciando ad accorciarsi.

 

 

16 GIUGNO 2008:

Un'altra Macchia Rossa su Giove

Da un paio d'anni a questa parte i planetologi stanno registrando un incremento considerevole nella turbolenza e nella violenza delle tempeste che caratterizzano gli strati più esterni di Giove. Un chiaro segnale che qualcosa stesse succedendo sul pianeta gigante lo si era percepito già nel dicembre 2005, allorchè fece la sua comparsa una seconda macchia rossa, successivamente battezzata Red Spot Jr. Un'idea che circola da tempo tra i planetologi è che su Giove siamo in presenza di un vero e proprio cambiamento climatico globale. Secondo Philip Marcus (UC Berkeley), per esempio, ci si aspetta di assistere a variazioni termiche superiori a 10 gradi centigradi, con un riscaldamento della fascia equatoriale e un corrispondente raffreddamento intorno al Polo sud.
Ottime ragioni, dunque, per tenere d'occhio Giove con la massima attenzione. Intorno al 10 maggio scorso il pianeta è stato oggetto di accurate osservazioni sia con il telescopio spaziale Hubble (in luce visibile) sia con il telescopio Keck II (nel vicino infrarosso), una campagna osservativa che ha prodotto almeno un paio di risultati notevoli. Anzitutto si è notato come la banda in cui si trova la Grande Macchia Rossa non è più così tranquilla com'era ad esempio un anno fa. La turbolenza è notevolmente aumentata da entrambi i lati, cosa piuttosto insolita visto che tutte le osservazioni precedenti effettuate sia con Hubble che con le sonde avevano sempre mostrato una turbolenza solo sul suo lato occidentale. Un secondo notevole risultato è stata la rilevazione di una terza macchia rossa a ovest della Grande Macchia Rossa e sulla stessa latitudine. Se persisteranno nell'attuale movimento relativo, si prevede che nel prossimo agosto le due macchie verranno a contatto, ma non si sa se si fonderanno assieme oppure si respingeranno a vicenda.
I planetologi non si sono comunque dimenticati di Red Spot Jr. Approfittando dei dati raccolti dalla New Horizons nel suo passaggio accanto a Giove nel febbraio 2007 e integrandoli con quelli di Hubble e del VLT, hanno determinato alcune importanti caratteristiche di quell'anticiclone che, a dispetto del nomignolo che gli è stato affibbiato, è comunque esteso come il nostro pianeta. Le nuove osservazioni hanno confermato che, rispetto a quanto rilevato studiando le tempeste dalle quali ha avuto origine, vi è stato un incredibile aumento di velocità dei venti che soffiano in quel turbine, registrando velocità massime intorno a 620 km orari. Si è anche notato come Red Spot Jr. stia profondamente interagendo con la fascia ciclonica posta poco più a sud e c'è chi ipotizza che tutto questo sfocerà nella formazione di un turbine ancora più grande, in grado addirittura di sovrastare per dimensioni la più famosa Grande Macchia Rossa.
Rimanete sintonizzati, il braccio di ferro tra le tre macchie si preannuncia interessante.

 

 

15 GIUGNO 2008:

La categoria dei nuovi Plutoidi

Il Sistema Solare si arricchisce di una nuova categoria di corpi celesti… Ma chi è che decide i nomi dei vari oggetti del Sistema Solare?

L’Unione Astronomica Internazionale (IAU, International Astronomical Union), durante un Comitato Esecutivo tenutosi ad Oslo, ha recentemente introdotto un nuovo termine per individuare i pianeti nani simili a Plutone.

Ad un paio d’anni circa dall’introduzione da parte della IAU della nuova categoria dei pianeti nani, ecco che dunque è stato deciso un nome per i pianeti nani transnettuniani simili a Plutone, da cui prendono il nome di Plutoidi.

Il nome “plutoide” è stato proposto dai membri del Comitato preposto alla nomenclatura dei Corpi Minori (CSBN, Committee on Small Body Nomenclature) e successivamente è stato accettato dal Gruppo di Lavoro della Nomenclatura del sistema planetario (WGPSN, Working Group for Planetary System Nomenclature) ed approvato dal Comitato Esecutivo, lo “IAU Executive Committee”.

Dunque i plutoidi sono quei corpi celesti in orbita attorno al Sole ad una distanza maggiore di quella di Nettuno, che sono dotati di una massa sufficiente a far sì che la propria forza di gravità possa contrastare le forze di un corpo rigido, in modo tale da assumere una forma (all’incirca rotonda) dotata di equilibrio idrostatico e che non hanno ripulito la zona circostante la loro orbita.

I satelliti dei plutoidi tuttavia non sono a loro volta plutoidi, anche se così massivi da avere una forma originata dalla propria gravità.

I primi due oggetti conosciuti e nominati plutoidi sono Plutone ed Eris. Ci si aspetta poi che con il progredire della scienza e con ulteriori scoperte, il numero dei plutoidi sia destinato ad aumentare. Viceversa il pianeta nano Cerere non è un plutoide dal momento che orbita nella fascia degli asteroidi tra Marte e Giove: però le attuali conoscenze scientifiche fanno propendere l’ipotesi che Cerere sia l’unico rappresentante della sua specie e perciò al momento non verrà ancora introdotta una nuova categoria di pianeti nani “simili a Cerere”.

La IAU è stata responsabile dai primi anni del ‘900 della denominazione dei corpi planetari e dei loro satelliti, mentre il già citato Comitato CSBN è viceversa responsabile dell’assegnazione di nomi agli oggetti minori (ad eccezione dei satelliti dei pianeti maggiori) del Sistema Solare.

Proprio il CSBN lavorerà dunque assieme al WGPSN per decidere i nomi dei nuovi plutoidi per assicurare che nessun pianeta nano abbia lo stesso nome di un altro oggetto minore del Sistema Solare. Recentemente erano stati proprio questi due comitati a lavorare assieme per accettare i nomi del pianeta nano Eris e del suo satellite Disnomia.

Altro compito poi della WGPSN è l’assegnazione della nomenclatura delle varie caratteristiche superficiali di tutti i corpi del Sistema Solare.

I membri dell’UAI riuniti ad Oslo hanno inoltre discusso sui tempi e modi di introduzione del termine plutoide e su indicazione dei due gruppi di lavoro citati, hanno deliberato che sarà considerato plutoide un corpo del Sistema Solare che abbia:

I due comitati poi potranno assegnarne un nome, privilegiando eventualmente il nome proposto dagli scopritori. Se però ulteriori indagini ed osservazioni mostreranno che l’oggetto non è abbastanza massivo da poter essere qualificato come plutoide, allora manterrà comunque la sua denominazione assegnata, ma cambierà categoria.

Ricordo infine che la magnitudine assoluta H di pianeti, pianeti nani, comete ed asteroidi, permette agli astronomi di comparare la luminosità di questi oggetti, come se tutti fossero posti alla distanza di 1 Unità Astronomica (UA, la distanza media Terra-Sole) con un angolo di fase di 0° e cioè nella loro fase “Piena”. In questa scala, a luminosità crescente corrisponde una magnitudine decrescente ed inoltre oggetti molto luminosi possono avere una magnitudine negativa, mentre valori positivi di magnitudine corrispondono a oggetti sempre meno brillanti e luminosi.

 

 

15 GIUGNO 2008:

I colori della polvere marziana

Da un campione di polvere caduto sulla piattaforma del Phoenix, ecco i colori e le forme della sabbia di Marte.

 

Granelli di polvere grandi quanto un decimo dello spessore di un capello umano sono stati ripresi dal Phoenix Lander della NASA, alla più alta risoluzione mai ottenuta finora. ”Abbiamo immagini che mostrano la diversità mineralogica su Marte ad una scala mai usata nell’esplorazione planetaria”, dice Michael Hecht del JPL di Pasadena.
Nell’immagine: mosaico di quattro immagini fornite dal microscopio ottico di Phoenix, inclusa una a colori. L’immagine risultante mostra un frammento di silicone di 3mm di diametro dopo essere stato esposto alla polvere sollevata dal Lander. Il substrato di silicone fornisce una superficie adesiva per catturare particelle da analizzare al microscopio.

Il microscopio ottico del Lander ha riportato immagini di particelle che sono ricadute sullo strato adesivo di silicone esposto sulla navicella durante la fase di atterraggio e nei giorni successivi. Alcune particelle potrebbero provenire dall’interno della navicella, rilasciate durante i difficili momenti dell’atterraggio, ma conformazione e colori di molte di esse fa pensare che si tratti proprio di particelle marziane.

“Si tratta di una prima occhiata,” dice Hecht, “ma l’esperimento è stato una sorta di garanzia per quello che verrà osservato con il microscopio prima di prelevare un campione di suolo tra quelli trasportati dal braccio robotico, e in parte è un modo per capire come funziona il microscopio ottico. Tutti gli strumenti stanno funzionando perfettamente”.

“Useremo in futuro i prossimi prelievi di terreno effettuati dal braccio meccanico per confermare se le particelle osservate in questo campione siano effettivamente di origine marziana”, aggiunge.

Nel frattempo, il Phoenix ha ricevuto l’ordine di raccogliere il suo primo campione di terreno da analizzare dettagliatamente. Ci vorranno tuttavia diversi giorni prima che l’esperimento abbia termine e ci restituisca primi risultati.

 

 

14 GIUGNO 2008:

Rientrato senza problemi lo shuttle Discovery

Al Kennedy Space Center in Florida, alle 17, 15 italiane

La navicella Discovery e' regolarmente atterrata oggi al Kennedy Space Center in Florida alle 17,15 ora italiana. La navetta spaziale e' tornata dalla sua missione di due settimane riportando a terra i sette astronauti dell'equipaggio, tra cui il giapponese Akihiko Hoshide e l'americano Garrett Reisman. Nel corso della missione e' stato montato sulla stazione spaziale il laboratorio giapponese Kibo. Si e' trattata della 123/ma missione spaziale dello shuttle.

 

 GLI AGGIORNAMENTI DEI GIORNI SCORSI

Tutto pronto per il rientro

Tecnici della Nasa hanno dato il via libera

Tutto procede secondo i programmi a Houston per il rientro dello shuttle, previsto per le 17:15 di oggi (ora italiana). A Houston i tecnici della Nasa hanno dato la 'luce verde' alla navetta spaziale Discovery per uscire dall'orbita e cominciare cosi' la fase del rientro che la portera' ad atterrare al Centro spaziale Kennedy, in Florida, alle 11:15 ora locale. Le condizioni meteo sono giudicate favorevoli.

 

Oggetto sconosciuto vicino allo shuttle

Lo hanno notato gli astronauti, forse pezzo di ghiaccio

Gli astronauti dello Shuttle hanno notato un oggetto non identificato sulla scia del traghetto spaziale. Indagano ora sulla sua natura. Lo ha annunciato la Nasa. L'oggetto e' stato avvistato dopo che il Discovery aveva acceso i motori: potrebbe trattarsi di un pezzo di ghiaccio. Gli astronauti hanno notato anche una ammaccatura sulla coda della navetta. Il Discovery ha oggi avviato le procedure per il rientro a terra previsto domani.

 

 

10 GIUGNO 2008:

Costruire telescopi con la polvere della Luna

Peter Chen del Goddard della NASA ha recentemente mostrato come potrebbe essere molto semplice costruire enormi telescopi sulla Luna, utilizzando praticamente soltanto la “polvere” del nostro satellite.
Peter Chen ed i suoi colleghi del Goddard hanno presentato un progetto veramente innovativo all’annuale congresso della Società Astronomica Americana. E’ da molti anni che Chen lavora sulla possibilità di utilizzare nuovi materiali per la costruzione di grandi telescopi, soprattutto in vista di futuri osservatori lunari. Il vero problema in questo caso è quello del trasporto del materiale sul nostro satellite. Fondamentale è allora utilizzare direttamente qualcosa che già si trova sulla Luna.

Chen ha allora simulato in laboratorio la polvere lunare, utilizzando una piccola quantità di nanotubi di carbonio, scoperti nel 1991 e che altro non sono che forme “allotropiche” del carbonio (per saperne di più guardare su Wikipedia oppure su questo sito). Mescolando questa sostanza con resina epossidica, usata come collante, e pezzi tritati di roccia lunare, ha scoperto, con sua stessa meraviglia, di avere a disposizione un materiale molto resistente con la consistenza del cemento.Questo composto è risultato essere perfetto per la costruzione di specchi telescopici! E’ bastato aggiungere uno strato di alluminio e lo stesso ricercatore ha costruito uno specchio da 30 cm,che ha mostrato sorridente ai congressisti. Sulla Luna si potrebbero costruire facilmente telescopi superiori anche ai 50 metri di diametro, utilizzando praticamente solo materiale “locale”. Non è difficile immaginiamo cosa si potrebbe vedere con questi telescopi in un mondo privo di atmosfera sia puntandoli verso l’Universo che verso il nostro pianeta! Con lo stesso materiale si potrebbero inoltre costruire basi per i futuri astronauti e specchi per la “raccolta” della luce solare. La fantascienza sembra già essere stata superata dalla realtà …

 

 

 

9 GIUGNO 2008:

Quanto "pesano" quei lontani buchi neri?

Marc Seiger e collaboratori dell’Università dell’Arkansas hanno presentato al congresso della società astronomica americana un innovativo ed estremamente promettente metodo per misure la massa di buchi neri al centro di galassie estremamente lontane. I ricercatori hanno calcolato direttamente che quanto maggiore è la massa del buco nero centrale tanto più strettamente i bracci della galassia si avvolgono attorno ad esso. Se confermato da nuove osservazioni, il nuovo semplice metodo aprirà confini enormi per lo studio dei buchi neri super-massicci.

Fino ad ora, la massa dei “cannibali” galattici veniva calcolata misurando la velocità delle stelle vicine al centro. Ovviamente, però, questo metodo poteva essere utilizzato solo per galassie molto vicine, di cui era possibile “vedere” le singole stelle. Seigar ha studiato in dettaglio 27 galassie a spirale, compresa la nostra e quella di Andromeda, ed ha trovato che quelle con buchi neri piccoli hanno un angolo di avvolgimento (ossia la distanza angolare tra i bracci ed il centro) anche maggiori di 40°. Quelle con buchi neri molto più grandi hanno angoli che scendono fino a 7°.

La grande importanza dello studio dei buchi neri molto lontani risiede nel fatto che essi ci indicherebbero la storia evolutiva delle galassie e le fasi della loro crescita. I buchi neri di cui si parla in questa ricerca sono ovviamente quelli super-massicci, cioè milioni o miliardi di volte più massicci del nostro Sole. Se, come si pensa, tutte le galassie hanno un buco nero centrale, questi sarebbero sicuramente un elemento chiave per capire i meccanismi della loro formazione.

In parole povere e per sintetizzare: più i bracci galattici si spingono verso il centro e più grande è il buco nero. Forse non era poi così difficile da ipotizzare. Comunque complimenti a Seigar e colleghi.

 

 

7 GIUGNO 2008:

Il Premio Casaranello a Paolo Nespoli

 

http://it.youtube.com/watch?v=PZXTtI_kCWg

 

Nespoli e la missione Esperia
 
Per Paolo Nespoli è il primo volo spaziale, ma non si tratta del primo italiano a visitare la ISS dalla sua costruzione iniziata nel 1998. Nespoli segue, infatti, le orme dei suoi colleghi astronauti dell’ESA Umberto Guidoni (2001) e Roberto Vittori (2002 and 2005).

La missione di Nespoli, a cui è stato dato il nome Esperia dall’antico nome greco della penisola italiana, è una delle sei opportunità di volo ottenute dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) per la fornitura alla NASA di tre contenitori cargo pressurizzati (Multi-Purpose Logistics Modules, o MPLM) secondo un accordo bilaterale. La stretta cooperazione tra ESA e ASI ha portato all’assegnazione di Nespoli, membro del Corpo Europeo degli Astronauti su questa opportunità di volo dell’ASI.

Nel corso di questa complessa missione di assemblaggio, Nespoli giocherà un ruolo chiave come astronauta per le attività intraveicolari (IVA) per tre delle cinque passeggiate spaziali, inclusa l’installazione del Nodo 2. Come astronauta assegnato all'IVA, Nespoli coordinerà le attività dall’interno della ISS nel corso delle uscite nello spazio fin dalle fasi preparatorie, incluse la configurazione e le fasi di test delle tute e dei vari strumenti. Aiuterà inoltre gli astronauti a indossare le tute e seguirà la depressurizzazione dell'airlock e la sua pressurizzazione dopo le passeggiata nello spazio.

Le altre responsabilità di Nespoli durante la missione Esperia includono la conduzione di un programma congiunto ESA/ASI di esperimenti nei settori della fisiologia umana e della biologia, oltre che a numerose attività nel campo della didattica.
 

Nodo 2 apre la strada al Columbus


 
Nodo 2, o ‘Harmony’ come è stato designato, è il secondo dei tre elementi di interconnessione della Stazione Spaziale. I nodi collegano i vari moduli pressurizzati, consentendo il passaggio di astronauti e attrezzature, e fornendo ad ogni modulo importanti risorse, come elettricità e controllo termico e ambientale.

Harmony sarà temporaneamente connesso con la porta di babordo del Nodo 1 nel corso della prima passeggiata spaziale il 26 ottobre. Dopo il distacco dello Shuttle, al termine della missione STS-120, il Nodo 2 sarà spostato nella sua posizione finale – il portello frontale del laboratorio statunitense Destiny – con l’aiuto del braccio robotico della Stazione.

Il Nodo 2 è stato sviluppato per la NASA sulla base di un contratto con l’industria europea, che ha visto Thales Alenia Space nel ruolo di capofila. L’ESA ha fornito questo elemento alla NASA, insieme al Nodo 3, come pagamento per il lancio del Columbus a bordo dello Space Shuttle.

"L’Italia è molto fiera del suo ruolo nella missione e più in generale del suo ruolo nel programma della ISS. Siamo molto soddisfatti della cooperazione con l’ESA per il management della missione," dichiara Simonetta di Pippo, Responsabile dell’Unità Osservazione dell’Universo dell’ASI e Coordinatore ASI della Missione Esperia. "Auguriamo a Paolo e all’equipaggio della STS-120 una missione di successo. Dopo gli MPLM, un altro modulo costruito dall’industria italiana gioca un ruolo chiave nella costruzione della ISS e questa è un’importante conferma delle capacità europea e italiana sulle quali possiamo contare per i prossimi passi nell’esplorazione dello spazio."

 

 

5 GIUGNO 2008:

Agganciato nuovo laboratorio sulla ISS

Shuttle ha portato anche ricambio toilette stazione spaziale

Gli astronauti del Discovery hanno agganciato il laboratorio giapponese Kibo alla Stazione Spaziale Internazionale. Lo ha comunicato la Nasa. Il laboratorio e' stato trasferito dal braccio robot della Stazione dal cargo dello shuttle Discovery alla sua collocazione all'esterno dell'Iss. Il Discovery ha portato nello spazio, oltre al laboratorio giapponese, anche un prezioso pezzo di ricambio per la toilette dell'Iss, che si e' guastata alcuni giorni fa.

 

 

5 GIUGNO 2008:

Fuochi pirotecnici sulla piccola stella

Scorrendo l'elenco delle stelle più vicine al Sole si incontra anche EV Lacertae, una nana rossa collocata a soli 16 anni luce di distanza. Inutile, però, scrutare la costellazione della Lucertola per cercare di individuarla a occhio nudo. La stella, infatti, è molto più fredda del Sole e la sua luminosità è abbondantemente al di sotto delle soglia di percezione dell'occhio umano. Secondo Rachel Osten, una ricercatrice dell'Università del Maryland che si occupa di stelle vicine, EV Lacertae è una stella piuttosto giovane e di modeste dimensioni, con una massa pari a circa un terzo di quella del Sole. Alla fine di aprile, però, questa modesta nana rossa si è resa protagonista di un autentico spettacolo pirotecnico, un brillamento così intenso da mettere in allarme persino l'osservatorio orbitante Swift.
La Osten e i suoi collaboratori ritengono che un ruolo importante nel produrre questo flare potrebbe averlo giocato l'elevata velocità con la quale la stella ruota su se stessa. Facendo ancora il paragone con il Sole, mentre la nostra stella impiega quattro settimane a compiere una rotazione, EV Lacertae lo fa in soli quattro giorni. L'elevata velocità unita con la particolare composizione favorirebbero il sorgere di campi magnetici cento volte più intensi di quelli del Sole. E proprio l'interazione di questi campi magnetici sarebbe all'origine del rilascio energetico dei brillamenti. Poichè sappiamo che sul Sole i campi magnetici sono strettamente collegati con le macchie superficiali, ci si può aspettare che oltre metà della superficie di EV Lacertae sia ricoperta di macchie.
Generalmente i flare liberano energia in tutte le regioni dello spettro elettromagnetico, ma le elevatissime temperature raggiunte fanno sì che il loro studio sia più proficuo impiegando telescopi progettati per le alte energie. Per questo anche Chandra e XMM-Newton sono già stati utilizzati per studiare EV Lacertae e stelle simili, ma il loro campo visivo è molto ristretto, dunque devono proprio essere sul bersaglio nel momento del brillamento per poterlo cogliere. Non così Swift. Progettato per catturare i lampi gamma, è dotato di un campo osservativo decisamente più ampio e questo spiega la sua prontezza nel segnalare il brillamento e nel seguirne l'evoluzione.
Doveroso chiedersi come mai sia stato dato tanto risalto al brillamento di una stella tutto sommato insignificante. Già il fatto che sia stato molto intenso e che si sia potuto studiarne nei dettagli l'evoluzione temporale sono di per sè due ottime ragioni, ma c'è di più. Da qualche tempo a questa parte, infatti, sta prendendo piede l'idea che le nane rosse possano essere ottime candidate non solo per ospitare sistemi planetari, ma anche perchè qualcuno di tali pianeti possa essere abitabile. Logico quindi che anche i planetologi tengano d'occhio i fenomeni che le riguardano.
Altrettanto logico, però, chiedersi che ne sarebbe stato di un pianeta abitabile in orbita intorno a EV Lacertae.

 

 

4 GIUGNO 2008:

Scoperto il Pianeta più piccolo

Ruota intorno ad una minuscola stella simile al Sole

E' stato scoperto il piu' piccolo pianeta esterno al Sistema Solare che ruota intorno ad un stella simile al Sole, ma molto piu' piccola.La scoperta si deve a ricercatori dell'universita' di Notre Dame che ha sfruttato la tecnica della lente gravitazionale ed e' stata annunciata al convegno della Societa' americana di astronomia. Il pianeta, siglato MOA-2007-BLG-192Lb, e' a 3.000 anni luce da noi, ha una massa tre volte quella della Terra e orbita intorno ad una 'nana bruna'.