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Il Sistema Solare   |   La Terra   |   Il Sole   |   La Luna   |   I pianeti

Gli asteroidi   |   Le comete   |   Meteore e meteoriti   |   Le stelle

Nebulose e ammassi stellari   |   La Via Lattea   |   Le galassie

 

IL SISTEMA SOLARE

 

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INTRODUZIONE

Sistema solare Insieme dei corpi celesti costituito dal Sole e dagli oggetti che orbitano intorno ad esso: nove pianeti con relativi satelliti, migliaia di asteroidi e un numero imprecisato di comete. Lo spazio in cui orbitano questi corpi è pervaso da materia interplanetaria, costituita prevalentemente da polveri finissime e gas estremamente rarefatti. Fino al 1992, il sistema solare era l'unico sistema planetario di cui si conoscesse l'esistenza; in quell’anno, poi, fu individuato il primo pianeta orbitante intorno a una stella diversa dal Sole, la pulsar PSR 1257 +12, nella costellazione della Vergine. Da allora, sono stati individuati diversi altri pianeti extrasolari, e un probabile sistema planetario in via di formazione intorno alla stella Beta Pictoris.

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IL SOLE

Il Sole è una stella di dimensioni e luminosità medie. L'energia da esso irraggiata ha origine nel nucleo centrale, nel quale sussistono condizioni di temperatura e pressione tali da alimentare reazioni di fusione nucleare che consistono nella formazione di nuclei di elio a partire da nuclei di idrogeno. Per quanto questo processo porti alla conversione di ben 600 milioni di tonnellate di idrogeno al secondo, la massa del Sole (2×1027 tonnellate) è tale da garantire che l’astro continui a splendere per altri cinque miliardi di anni circa.

Il Sole è una stella molto attiva. Sulla sua superficie si formano, con un ciclo della periodicità di 11 anni, regioni relativamente scure denominate macchie solari, a cui sono associati intensi campi magnetici. Queste strutture non interessano tutta la superficie solare, ma compaiono solo a latitudini comprese tra 40° N e i 40° S. Correlate alle macchie solari sono improvvise emissioni di energia e di particelle elettricamente cariche (brillamenti). Il Sole emette inoltre un flusso continuo di particelle cariche, che si propaga in tutto il sistema planetario. Tale flusso, il vento solare, è molto intenso e condiziona la forma e l’orientazione delle code ionizzate delle comete.

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I PIANETI MAGGIORI

I nove pianeti del sistema solare, in orbita ellittica intorno al Sole, vengono divisi in due gruppi: quello dei pianeti interni (Mercurio, Venere, Terra e Marte) e quello dei pianeti esterni (Giove, Saturno, Urano, Nettuno e Plutone). I primi sono piccoli e composti essenzialmente di rocce e metalli, i secondi hanno dimensioni assai maggiori e sono composti principalmente da gas.

La superficie di Mercurio presenta numerosi crateri generati dall’impatto di meteoriti. Il pianeta, circondato da un'atmosfera molto sottile, ha un'alta densità dovuta probabilmente alla grande massa ferrosa che ne costituisce il nucleo.

Venere è avvolto da un'atmosfera di anidride carbonica 90 volte più densa di quella terrestre; ciò provoca un intenso effetto serra e un conseguente surriscaldamento della superficie, che supera i 450 °C di temperatura.

La Terra è l'unico pianeta su cui, a quanto si sa, siano presenti acqua allo stato liquido e forme di vita. Esistono indizi della presenza di acqua in epoche passate anche su Marte; questo pianeta è oggi circondato da un'atmosfera molto tenue, che rende la superficie arida e fredda, con grandi calotte polari di ghiaccio secco (anidride carbonica allo stato solido).

Giove è il pianeta più grande del sistema solare; è avvolto da caratteristiche nubi dai colori pastello e da un'atmosfera di idrogeno ed elio; l'immensa magnetosfera, gli anelli e i satelliti ne fanno una sorta di sistema planetario a sé stante.

L'altro grande pianeta del sistema, Saturno, è circondato, come Giove, da un sistema di anelli e satelliti. Urano e Nettuno contengono minori quantità di idrogeno rispetto ai due pianeti giganti; Urano, in particolare, ruota intorno a un asse che giace quasi sul piano dell'orbita. Plutone è l'ultimo dei pianeti scoperti sino a oggi; ha un diametro relativamente piccolo (2280 km circa), un'orbita ellittica molto eccentrica, e la sua distanza dal Sole è tale (circa 6 miliardi di km) da farne il pianeta più freddo del sistema solare.

Esistono inoltre alcuni corpi della fascia di Edgeworth-Kuiper, scoperti tra il 2002 e il 2003, che per dimensioni e caratteristiche orbitali fanno pensare a piccoli pianeti; in particolare Sedna, il più grande, che ha un diametro di circa 1750 km. La comunità scientifica, al momento, non ha elementi sufficienti per poter definire Sedna un vero e proprio pianeta e, anzi, si trova di fronte alla necessità di riesaminare la definizione stessa di pianeta, per procedere a una corretta classificazione.

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ALTRI CORPI DEL SISTEMA SOLARE

Oltre ai pianeti, fanno parte del sistema solare anche gli asteroidi (o pianetini), i meteoriti e le comete. Gli asteroidi sono corpi rocciosi che si trovano per la maggior parte in un'ampia fascia compresa tra le orbite di Marte e Giove. Sono migliaia e le loro dimensioni variano dai 1000 km del diametro di Cerere, a quelle di microscopici grani di polvere. I meteoriti sono frammenti rocciosi che si separano dagli asteroidi e vanno a ricadere su corpi più grandi: pianeti, satelliti e il Sole stesso. Alcuni di essi, con l'ingresso nell'atmosfera terrestre, si disintegrano per effetto dell'attrito, lasciando una scia luminosa e dando origine al fenomeno delle meteore. Studi di laboratorio sui meteoriti hanno permesso di ricavare molte informazioni sullo stato primordiale del sistema solare. Le superfici di Mercurio, di Marte e di molti satelliti (tra cui la Luna) mostrano gli effetti di un intenso bombardamento di meteoriti avvenuto agli inizi dell'evoluzione del sistema solare. Sulla Terra i segni dell'impatto di meteoriti sono stati in gran parte cancellati dall'erosione.

Le comete sono aggregati di polveri rocciose, ammoniaca, monossido di carbonio e anidride carbonica, di diametro compreso tra i 5 e 10 km. Descrivono orbite ellittiche molto eccentriche intorno al Sole; quando vi si avvicinano, per effetto della radiazione emessa dalla stella, i gas evaporano e formano intorno al nucleo cometario spettacolari chiome e code. La cometa più famosa è quella di Halley, che transita periodicamente nel sistema solare interno a intervalli di 76 anni circa; il suo passaggio più recente risale al 1986. Nel luglio del 1994 frammenti della cometa Shoemaker-Levy 9 hanno attraversato l'atmosfera di Giove a una velocità di circa 210.000 km/h; nel transito, l'enorme energia cinetica dei frammenti si è convertita in calore, lasciando segni visibili nelle nubi del pianeta. Anche le superfici dei satelliti ghiacciati dei pianeti esterni sono segnate dall'impatto con nuclei di comete. Chirone, un oggetto che orbita tra Saturno e Urano e che si riteneva un asteroide, sembra in realtà essere un grande nucleo cometario non più attivo. Parimenti, alcuni asteroidi che attraversano l'orbita della Terra potrebbero essere il residuo roccioso di comete estinte.

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MOVIMENTO DEI PIANETI E DEI SATELLITI

Tranne Venere e Urano, che ruotano in senso orario, tutti i pianeti ruotano intorno al proprio asse e orbitano attorno al Sole in senso antiorario. L'intero sistema è situato approssimativamente su un unico piano; solo Mercurio e Plutone hanno orbite molto inclinate rispetto a questo piano.

I sistemi di satelliti hanno un comportamento che rispecchia quello dei pianeti di appartenenza. Alcuni satelliti di Giove, Saturno e Nettuno descrivono orbite retrograde; altri satelliti hanno orbite fortemente ellittiche. Nell'orbita di Giove, inoltre, due gruppi di asteroidi, detti Troiani, precedono e seguono il pianeta di circa 60°; lo stesso fenomeno si verifica per alcuni piccoli corpi in orbita intorno a Saturno.

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ORIGINE DEL SISTEMA SOLARE

Le prime teorie cosmologiche sull’origine del sistema solare risalgono a tempi antichissimi. In epoca moderna, il filosofo Immanuel Kant (Storia universale della natura e teoria del cielo, 1755) e il fisico e matematico francese Pierre-Simon de Laplace (Esposizione del sistema del mondo, 1796) formularono un'ipotesi secondo la quale il sistema solare si sarebbe formato da una nube di gas, dalla quale si sarebbero originati una serie di anelli e, successivamente, i pianeti. Dubbi circa la stabilità degli anelli condussero gli scienziati a considerare altre ipotesi, come quella dell'impatto del Sole con un'altra stella. Ma anche quest'idea fu abbandonata quando si provò che tali incontri sono estremamente rari e, soprattutto, che i gas caldi tendono a dissiparsi, piuttosto che a condensare, rendendo impossibile la formazione dei pianeti.

Le teorie attualmente più accreditate fanno coincidere cronologicamente la formazione del sistema solare con quella del Sole, avvenuta circa 4,7 miliardi di anni fa. La frammentazione e il collasso gravitazionale di una nube di gas e polveri, innescati forse dall'esplosione di una supernova vicina, potrebbero aver portato alla formazione di una nebulosa solare primordiale (tracce di isotopi anomali, che rivelerebbero l'esplosione di una supernova prima della formazione del Sole, sono state rinvenute in alcuni meteoriti). Il Sole si sarebbe poi formato nella regione centrale, più densa, della nube. Quindi sarebbero venuti i pianeti interni e, successivamente – a maggiori distanze dal centro della nebulosa – i gas, condensando, avrebbero raggiunto lo stato nel quale oggi si trovano su Giove e nelle regioni più esterne del sistema solare. L'ipotesi che considera la formazione di stelle e pianeti come contemporanea, già molto affascinante in sé, confermerebbe inoltre l'esistenza di sistemi di corpi celesti analoghi al nostro sistema solare.

Attualmente si conoscono nella nostra galassia circa 1200 stelle, che per dimensioni ed età possono essere considerate simili al nostro Sole, e 102 pianeti orbitanti intorno a queste. L’ultimo sistema planetario scoperto in ordine di tempo è stato individuato dai ricercatori dell’Istituto nazionale di fisica di Padova, nella porzione di cielo compresa tra la costellazione dell’Acquario e quella dei Pesci. Si tratta di un sistema di due stelle binarie poste alla reciproca distanza di circa cinque volte il diametro del nostro sistema solare. La porzione di galassia esplorata fino ad oggi è solo un decimillesimo del totale: questo fa pensare che siano innumerevoli i sistemi planetari esistenti e altrettanto numerosi i pianeti in cui si potrebbero trovare condizioni ambientali analoghe al nostro sistema solare.

 

LA TERRA

 

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INTRODUZIONE

Terra Terzo pianeta del sistema solare in ordine di distanza dal Sole; unico pianeta, allo stato attuale delle conoscenze, che ospiti la vita. Ha una composizione prevalentemente rocciosa e una forma irregolare, riconducibile in prima approssimazione a un ellissoide. Presenta una struttura a strati, con un nucleo pesante, un mantello intermedio e una crosta più leggera, ed è all’origine di una magnetosfera. Oltre che dal Sole, attinge energia per le sue complesse dinamiche da una riserva di calore immagazzinata al suo interno. Compie un complicato sistema di moti periodici nello spazio, i più importanti dei quali sono la rotazione intorno al proprio asse e la rivoluzione intorno al Sole.

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FORMA

Calcoli recenti basati sullo studio delle irregolarità orbitali di satelliti artificiali hanno permesso di appurare che la Terra presenta effettivamente una forma di ellissoide, ma lievemente deformata “a pera”: la differenza tra il raggio minimo equatoriale e il raggio polare (distanza tra il centro della Terra e il Polo Nord) è di circa 21 km, inoltre il Polo Nord “sporge” rispetto all’ellissoide regolare di circa 10 m, mentre il Polo Sud è “schiacciato” di 31 m. Lo studio della forma della Terra è oggetto di una disciplina che prende il nome di geodesia.

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MOTI

La posizione della Terra nello spazio non è stazionaria ma è il risultato di una complessa composizione di moti con caratteristiche e periodicità differenti. Insieme al suo satellite naturale, la Luna, il pianeta Terra orbita intorno al Sole, a una distanza media di 149.503.000 km e con una velocità media di 29,8 km/s, compiendo una rivoluzione completa in 365 giorni, 6 ore 9 minuti e 10 secondi (il periodo di rivoluzione è detto anno sidereo). La traiettoria di quest’orbita è un'ellisse lievemente eccentrica, ovvero pressoché circolare, con una lunghezza pari a circa 938.900.000 km. La Terra è inoltre in rotazione intorno al proprio asse; tale rotazione avviene in senso inverso rispetto all'apparente moto del Sole e della sfera celeste, vale a dire da occidente a oriente, e ha un periodo di 23 ore, 56 minuti e 4,1 secondi (giorno sidereo).

La Terra segue il moto dell'intero sistema solare e si muove nello spazio a una velocità di circa 20,1 km/s nella direzione della costellazione di Ercole; inoltre partecipa al moto di recessione della galassia, e insieme alla Via Lattea si sposta verso la costellazione del Leone.

Oltre che dai moti principali, la Terra è interessata dal moto di precessione degli equinozi e dalle nutazioni. Queste ultime sono variazioni periodiche dell'inclinazione dell'asse terrestre, dovute alla combinazione delle due forze di attrazione gravitazionale esercitate su di essa dal Sole e dalla Luna.

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COMPOSIZIONE

La Terra può essere schematicamente suddivisa, procedendo dall’esterno verso l’interno, in cinque porzioni: l'atmosfera (gassosa), l'idrosfera (liquida), la litosfera (solida), il mantello e il nucleo, in parte solidi. L'atmosfera, costituita prevalentemente da azoto (N2) e ossigeno (O2), è l’involucro gassoso che circonda il corpo del pianeta: ha uno spessore di oltre 1100 km, ma data la rarefazione progressiva all’aumentare della quota, circa la metà della sua massa è concentrata nei primi 5600 metri.

4.1

 

Idrosfera

Con il termine idrosfera si intende l’insieme delle acque che, raccolte per la massima parte negli oceani, coprono approssimativamente il 70,8% della superficie del globo. L'idrosfera comprende, oltre agli oceani, anche i mari interni, i laghi, i fiumi e le acque sotterranee. Gli oceani hanno una profondità media pari a 3794 m, circa cinque volte l'altezza media dei continenti, e una massa complessiva uguale a circa 1.350.000.000.000.000.000 (1,35 × 1018) tonnellate, cioè circa 1/4400 della massa totale della Terra.

4.2

 

Litosfera

La litosfera è lo strato del pianeta profondo fino a 100 km, che comprende la crosta – rocciosa – e la parte del mantello caratterizzata da un comportamento rigido. Il mantello a comportamento plastico e il nucleo costituiscono invece la parte interna del pianeta e rappresentano la maggior parte della sua massa. Le rocce della crosta terrestre hanno una densità media di 2,7 g/cm³ e sono perlopiù costituite da undici elementi, che complessivamente rappresentano circa il 99,5% della massa crostale. Il più abbondante di essi è l'ossigeno (circa il 46,60% della massa totale), seguito da silicio (circa il 27,72%), alluminio (8,13%), ferro (5,0%), calcio (3,63%), sodio (2,83%), potassio (2,59%), magnesio (2,09%), titanio, idrogeno e fosforo (complessivamente in quantità minori dell'1%). Inoltre sono presenti tracce di altri elementi quali carbonio, manganese, zolfo, bario, cloro, cromo, fluoro, zirconio, nichel, stronzio e vanadio. Questi elementi si trovano nella litosfera generalmente in forma di composti e solo raramente allo stato puro.

La litosfera non ricopre uniformemente il globo, ma è frammentata in una molteplicità di placche rigide in movimento relativo convergente o divergente le une rispetto alle altre. Le interazioni tra le zolle litosferiche sono all’origine di tutta la dinamica della crosta terrestre, vale a dire del sollevamento delle catene montuose, dell’espansione dei fondi oceanici, dei fenomeni sismici e vulcanici. Il complesso di questi fenomeni è spiegato da una teoria sviluppata nel corso del XX secolo e nota come tettonica a zolle.

4.3

 

Crosta

Esistono due tipi di crosta, che differiscono sia per la natura e la struttura delle rocce costituenti, sia per l'età, sia per il livello medio della superficie. La crosta di tipo continentale costituisce i continenti, la piattaforma continentale e parte dell'adiacente scarpata continentale. È costituita da rocce magmatiche, metamorfiche e sedimentarie, che hanno una composizione chimica media prossima a quella del granito e un’età estremamente variabile: le più antiche possono risalire addirittura a 4 miliardi di anni fa. La crosta di tipo oceanico costituisce invece il pavimento dei bacini oceanici ed è costituita prevalentemente da rocce di composizione basaltica. L'età di queste rocce non è maggiore di 190 milioni di anni.

Il livello medio della superficie della crosta continentale supera di oltre 4000 metri quello della crosta oceanica, benché i rilievi e le depressioni oceaniche costituiscano solo una piccola percentuale delle terre emerse e dei fondi oceanici.

4.4

 

Mantello

Il mantello superiore, rigido, è separato dalla crosta da una discontinuità sismica, detta Moho, e dal mantello inferiore da uno strato a comportamento più plastico, l’astenosfera. Il mantello superiore, scorrendo lateralmente sulle rocce parzialmente fuse che costituiscono l’astenosfera, spessa un centinaio di chilometri, permette la deriva dei continenti e l'espansione dei fondi oceanici.

Il mantello si estende dalla base della crosta fino a una profondità di circa 2900 km. Il suo strato più esterno – l’astenosfera – si trova allo stato fluido, mentre la parte rimanente è solida, con una densità che cresce all’aumentare della profondità, variando tra 3,3 e 6. Il mantello superiore è composto da silicati di ferro e magnesio e in percentuale significativa dal minerale olivina; la parte inferiore consiste probabilmente di una miscela di ossidi di magnesio, silicio e ferro organizzati in strutture cristalline tipiche di condizioni di temperatura e pressione elevate.

4.5

 

Nucleo

La transizione tra il mantello e il nucleo è rivelata da una superficie di discontinuità sismica detta discontinuità di Gutenberg. Gli studi sismologici mostrano che il nucleo ha un guscio esterno costituito da materiale fluido, spesso circa 2225 km, con densità media pari a 10. La sua superficie esterna presenta depressioni e picchi; questi ultimi si formano probabilmente dove il materiale caldo sale verso l'alto. Al contrario, il nucleo interno, che ha un raggio di circa 1275 km, è solido. Si pensa che entrambi gli strati del nucleo siano composti di ferro, con una piccola percentuale di nichel e di altri elementi. La temperatura nel nucleo interno è valutata in circa 6650 °C e la densità media è stimata intorno a 13.

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CALORE INTERNO

L'enorme quantità di calore presente nel nucleo terrestre tende a propagarsi verso l'esterno, attraverso i gusci concentrici che costituiscono il corpo del pianeta. L’energia termica del nucleo alimenta le correnti convettive del mantello, le quali fungono da nastro trasportatore delle zolle litosferiche e alimentano di magmi sia il sistema delle dorsali oceaniche, sia i vulcani sulla terraferma. Parte del calore terrestre, inoltre, viene prodotto nella crosta dal decadimento delle specie radioattive presenti (ad esempio l'uranio).

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ETÀ E ORIGINE

I metodi di datazione basati sullo studio dei radioisotopi hanno consentito agli scienziati di stimare l'età della Terra in 4,65 miliardi di anni. Benché le più vecchie rocce terrestri datate in questo modo non raggiungano i 4 miliardi di anni, alcune meteoriti, che sono simili geologicamente al nucleo del nostro pianeta, risalgono a circa 4,5 miliardi di anni fa e si ritiene che la loro cristallizzazione sia avvenuta approssimativamente 150 milioni di anni dopo la formazione della Terra e del sistema solare.

Il nostro pianeta, subito dopo la sua formazione (avvenuta probabilmente per aggregazione gravitativa di materia libera nello spazio), doveva essere un corpo quasi omogeneo e relativamente freddo. La contrazione gravitazionale provocata dal progressivo accrescimento della sua massa produsse un aumento di temperatura, al quale contribuì senza dubbio il decadimento radioattivo di alcuni isotopi. L’aumento di temperatura giunse a un livello tale da innescare un processo di parziale fusione del pianeta e la conseguente riorganizzazione dei suoi componenti in strati concentrici – crosta, mantello e nucleo: i silicati, più leggeri, risalirono verso la superficie della massa fluida, formando il mantello e la crosta, mentre gli elementi pesanti, soprattutto ferro e nichel, affondarono perlopiù verso il centro. Al tempo stesso, tramite le eruzioni vulcaniche, gran parte dei gas leggeri vennero espulsi dal mantello e dalla crosta. Alcuni di questi gas, in particolar modo l’anidride carbonica e l’azoto, andarono a costituire l'atmosfera primordiale, mentre il vapore acqueo condensava, dando origine ai primi oceani.

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MAGNETISMO

La Terra nel suo insieme si comporta come un enorme magnete. Il campo magnetico terrestre, infatti, è molto simile a quello che si osserverebbe collocando al centro del pianeta una barra magnetica con l’asse inclinato di circa 11° rispetto all'asse di rotazione terrestre. Benché gli effetti del geomagnetismo siano noti e sfruttati da molte centinaia di anni (ad esempio con la bussola), i primi studi scientifici su questa proprietà del nostro pianeta vennero compiuti intorno al 1600 dal fisico e filosofo britannico William Gilbert.

7.1

 

Poli magnetici

Il fatto che l’asse del campo magnetico terrestre non coincida con l’asse di rotazione fa sì che anche i poli magnetici siano distinti da quelli geografici. Il polo nord magnetico attualmente si trova al largo delle coste occidentali delle isole Bathurst, nei Territori del Nord-Ovest canadesi, quasi 1290 km a nord-ovest della baia di Hudson. Il polo sud magnetico si trova invece sul bordo del continente antartico, nella zona di Terra Adelia, circa 1930 km a nord-est di Little America.

La posizione dei poli magnetici non è fissa, ma muta in modo sensibile da un anno all’altro. Il campo magnetico terrestre, infatti, varia in direzione con una perdiodicità di circa 960 anni, e inoltre compie piccole variazioni su scala giornaliera. Recenti studi effettuati sulla magnetizzazione fossile dei sedimenti marini hanno rilevato un’ulteriore periodicità nelle variazioni del campo geomagnetico, di 100.000 anni. Essa, secondo gli scienziati, potrebbe essere legata alla variazione di eccentricità dell’orbita terrestre, che avviene appunto secondo un ciclo di 100.000 anni.

I dati raccolti dai satelliti rivelano che per il campo magnetico terrestre è in corso da circa 150 anni un lento processo di indebolimento destinato a risolversi con un’inversione di polarità. In sostanza, al termine di tale processo, che dovrebbe durare circa due millenni, il Nord magnetico non coinciderà più con il Nord geografico, ma con il Sud. Un campo magnetico meno intenso, nel frattempo, potrebbe significare una maggiore esposizione alle tempeste magnetiche provenienti dal Sole, difficoltà nella navigazione dei satelliti e, in campo biologico, difficoltà di orientamento per tutti gli animali che nelle migrazioni si affidano al magnetismo – uccelli, farfalle, balene e molti altri.

Studi recenti del magnetismo residuo nelle rocce e delle anomalie magnetiche dei fondi oceanici dimostrano inoltre come, negli ultimi 100 milioni di anni, si siano verificate almeno 170 inversioni di polarità del campo magnetico terrestre. La conoscenza di queste inversioni, che possono essere datate per mezzo degli isotopi radioattivi contenuti nelle rocce, ha una grossa influenza sulle teorie della tettonica globale.

7.2

 

Teoria della dinamo

Le misure della variazione secolare mostrano che il campo magnetico terrestre tende a spostarsi verso occidente a una velocità compresa tra i 19 e i 24 km all'anno. Con ogni evidenza, il magnetismo della Terra è il prodotto di un processo dinamico che può essere spiegato tenendo presente che il nucleo esterno, ferroso, sia liquido (al centro della Terra, invece, la pressione sarebbe tale da consentire solo lo stato solido) e che le correnti convettive al suo interno abbiano un effetto paragonabile a quello delle spire di una dinamo (siano in grado cioè di generare un intenso campo magnetico). La parte interna del nucleo ruoterebbe più lentamente della parte esterna, e ciò spiegherebbe la deriva secolare verso ovest del campo magnetico. La superficie irregolare del nucleo esterno spiegherebbe poi alcune delle altre variazioni minori del campo magnetico.

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INTENSITÀ DEL CAMPO MAGNETICO

Le misurazioni di intensità del campo vengono effettuate con strumenti detti magnetometri, che possono determinare l'intensità totale del campo e anche quella delle sue componenti orizzontale e verticale. Studiando le anomalie locali di intensità del campo magnetico terrestre si possono ottenere informazioni per individuare alcuni tipi di giacimenti minerari.

8.1

 

Paleomagnetismo

Analizzando le antiche rocce vulcaniche è possibile risalire alle condizioni del campo magnetico terrestre di epoche passate. I minerali ferromagnetici contenuti in tali rocce, infatti, rimangono bloccati nel corso del processo di raffreddamento (e quindi di cristallizzazione) nell’orientamento che avevano assunto per allinearsi al campo magnetico locale. Le misurazioni effettuate in diverse regioni del globo evidenziano come l'orientamento del campo magnetico attraverso le ere geologiche sia mutato enormemente rispetto alla posizione delle masse continentali, mentre l'inclinazione dell'asse di rotazione terrestre rimaneva invariata. Il polo nord magnetico, ad esempio, 500 milioni di anni fa era situato a sud delle isole Hawaii, e per i successivi 300 milioni di anni l'equatore magnetico si trovò a passare per gli Stati Uniti.

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ELETTRICITÀ TERRESTRE

Sulla Terra e nell'atmosfera si manifestano fenomeni elettrici prodotti da processi naturali. L'elettricità atmosferica, eccetto quella associata alle cariche nelle nubi che genera i fulmini, deriva dalla ionizzazione prodotta dalla radiazione solare e dal movimento di nubi di ioni trasportate dalle maree atmosferiche; queste ultime sono prodotte, come le maree marine, dall'attrazione gravitazionale del Sole e della Luna sull'atmosfera della Terra. La ionizzazione (e quindi la conduttività elettrica) dell'atmosfera in prossimità della superficie terrestre è bassa, ma aumenta rapidamente con l'altitudine: tra i 40 e i 400 km la ionosfera forma un involucro sferico quasi perfettamente conduttore che riflette le onde radio permettendone la trasmissione a lunga distanza. La ionizzazione dell'atmosfera varia molto anche a seconda dell'ora e della latitudine.

 

IL SOLE

 

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INTRODUZIONE

Sole Stella che domina il sistema planetario al quale appartiene la Terra. Il Sole emette radiazione elettromagnetica e in questo modo fornisce energia, direttamente o indirettamente, a ogni forma di vita sulla Terra: tutto il cibo e i combustibili derivano, in ultima analisi, dalle piante che sfruttano la sua luce. Vedi Fotosintesi; Energia solare.

Il Sole è una stella tipica. Essendo relativamente vicino alla Terra, rappresenta un soggetto unico per lo studio dei fenomeni stellari: nessun'altra stella può infatti essere studiata con uguale dettaglio.

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STORIA DELLE OSSERVAZIONI

Fin dall'antichità il Sole è stato considerato dall'uomo come un'entità dal significato speciale. Molte culture antiche lo adoravano e ne riconoscevano l'importanza nel ciclo della vita. Sebbene abbia sempre ricoperto un ruolo centrale nei calendari, in cui erano riportati i solstizi, gli equinozi e le eclissi (vedi Archeoastronomia), il Sole venne studiato con rigore soltanto dopo la scoperta delle macchie solari. Gli astronomi cinesi avevano osservato le macchie a occhio nudo fin dal 200 a.C., ma lo studio sistematico di questi fenomeni iniziò solo nel 1611 con l'opera di Galileo. Grazie anche all'invenzione del telescopio, si delineò in quegli anni un nuovo approccio allo studio del Sole, che da allora venne considerato un corpo in evoluzione, del quale si potevano comprendere scientificamente sia le proprietà sia le modificazioni.

Il passo successivo risale al 1814, con l'utilizzo dello spettroscopio da parte del fisico tedesco Joseph von Fraunhofer (vedi Spettroscopia). Benché lo spettro del Sole fosse già stato osservato nel 1666 da Isaac Newton, l'accuratezza del lavoro di Fraunhofer gettò le basi per i primi studi teorici dell'atmosfera solare.

Una parte della radiazione prodotta sulla superficie visibile del Sole (detta fotosfera) viene assorbita dai gas leggermente più freddi soprastanti. Sono assorbite però solo alcune particolari lunghezze d'onda, a seconda delle specie atomiche presenti nell'atmosfera solare. Nel 1859 il fisico tedesco Gustav Kirchhoff realizzò che l'assenza di radiazione di una certa lunghezza d'onda nelle righe di Fraunhofer era dovuta all'assorbimento da parte di atomi di alcuni elementi chimici presenti anche sulla Terra. Questo non solo indicava che il Sole è composto di materia ordinaria, ma dimostrava anche la possibilità di ricavare dettagliate informazioni sugli oggetti celesti studiando la radiazione elettromagnetica che essi emettono. Era l'inizio dell'astrofisica.

I progressi nello studio del Sole furono conseguiti grazie alle sistematiche osservazioni di numerosi scienziati e allo sviluppo di nuovi e più accurati strumenti, quali lo spettroeliografo, che permette lo studio del Sole a una sola lunghezza d'onda dello spettro di emissione; il coronografo, che consente lo studio della corona solare anche in assenza di eclissi; e il magnetografo, inventato nel 1948 dall'astronomo statunitense Horace Babcock, che misura l'intensità del campo magnetico sulla superficie solare. In seguito, lo sviluppo dei razzi e dei satelliti consentì agli scienziati di osservare anche le radiazioni che vengono assorbite dall'atmosfera terrestre. Coronografi, telescopi e spettrografi sensibili alla radiazione ultravioletta e ai raggi X si rivelarono di fondamentale importanza per l'esplorazione dello spazio.

3

 

COMPOSIZIONE E STRUTTURA

L'energia emessa dal Sole viene irradiata in modo approssimativamente costante in ogni direzione dello spazio; la fonte di questa energia è nell'interno del Sole, che, come la maggior parte delle stelle, è composto prevalentemente da idrogeno (il 71%) ed elio (27%) allo stato di plasma, con tracce di elementi più pesanti. All'interno del Sole si è individuato un nucleo centrale, con un raggio di circa 150.000 km, in cui la temperatura raggiunge i 16.000.000 K e la densità è 150 volte quella dell'acqua. In queste condizioni, le collisioni tra i nuclei degli atomi di idrogeno innescano violente reazioni di fusione nucleare. Il risultato di questo processo è che quattro nuclei di idrogeno si combinano per formare un nucleo di elio (catena protone-protone), mentre viene liberata energia sotto forma di raggi gamma. Ogni secondo avvengono moltissime reazioni, che generano un'energia equivalente a quella rilasciata nell'esplosione di una bomba atomica di 100 miliardi di megaton.

Entro una zona che ha spessore di circa 500.000 km, l'energia prodotta all'interno del Sole si trasmette verso l'esterno per irraggiamento. Nei pressi della fotosfera, tuttavia, si trova una zona convettiva che occupa circa l'ultimo terzo del raggio solare, dove l'energia si trasmette per mezzo di moti turbolenti del gas. La fotosfera è la superficie superiore della zona convettiva.

Le celle convettive danno alla fotosfera un aspetto irregolare a macchie, noto come granulazione solare. Ciascun granulo ha un diametro di circa 2000 km e una vita media di soli 10 minuti circa. Vi è anche una granulazione provocata dalla turbolenza che si estende in profondità nella zona convettiva. Questa supergranulazione ha celle che sopravvivono per circa un giorno e hanno dimensioni di circa 30.000 km.

3.1

 

Macchie solari

La superficie della fotosfera appare costellata di aree scure variabili per forma e per numero, nelle quali si distingue una zona centrale (ombra), circondata da una regione di bordo leggermente più luminosa (penombra). Queste strutture prendono il nome di macchie solari e rappresentano dei "punti freddi" della fotosfera.

Nel 1908 l'astronomo George Ellery Hale scoprì che le macchie solari sono sede di intensi campi magnetici. Una macchia tipica ha un campo magnetico di intensità pari a 0,25 Tesla, circa 10.000 volte più intenso di quello terrestre. Le macchie solari compaiono generalmente a coppie, con campi magnetici di polarità opposta. Dapprima aumentano di numero, per poi diminuire, con un ciclo regolare che dura circa 11 anni, già noto almeno dall'inizio del XVIII secolo. I complessi campi magnetici associati al ciclo solare, tuttavia, vennero notati solo dopo la scoperta del campo magnetico della stella.

In una coppia di macchie che si forma nell'emisfero settentrionale del Sole, la macchia che precede (nella direzione della rotazione) ha polarità opposta rispetto a quella che si forma nell'emisfero meridionale. Quando inizia un nuovo ciclo, la direzione del campo magnetico delle macchie di ciascun emisfero si inverte. Così un ciclo solare completo, che includa anche l'inversione di polarità del campo magnetico, dura circa 22 anni. Inoltre le macchie tendono a formarsi sempre simmetricamente nei due emisferi alla stessa latitudine, partendo da 45° fino a circa 5° nel corso del ciclo.

Poiché ogni macchia esiste al massimo per qualche mese, il ciclo di 22 anni riflette processi solari profondi e di lunga durata e non solo proprietà delle singole macchie. Benché non sia del tutto compreso, esso sembra il risultato delle interazioni del campo magnetico del Sole con la zona convettiva. Queste interazioni, tuttavia, sono influenzate dalla rotazione del Sole, che non è uguale a tutte le latitudini: il Sole ruota una volta ogni 27 giorni all'equatore e ogni 31 giorni vicino ai poli.

3.2

 

Campo magnetico

Gran parte del campo magnetico solare è localizzato intorno alle macchie. La sua intensità influenza fortemente gli strati più esterni del Sole. Ad esempio, la turbolenza su larga scala della zona convettiva spinge il campo magnetico sulla fotosfera e appena sopra di essa fino ai bordi delle celle di supergranulazione. La radiazione che proviene dallo strato appena sopra la fotosfera, detto cromosfera, mostra varie figure caratteristiche. Entro i confini dei supergranuli si innalzano getti di materia (spicole) verso la cromosfera fino a un'altitudine di 4000 km in soli 10 minuti. Le cosiddette spicole sono causate dall'interazione tra la turbolenza e il campo magnetico ai bordi delle celle dei supergranuli.

Vicino alle macchie, tuttavia, la radiazione cromosferica è più uniforme. Queste zone sono dette regioni attive, mentre le aree circostanti, che hanno un'emissione cromosferica meno intensa, sono dette plages (dal francese, "spiagge"). Le regioni attive sono i luoghi nei quali avvengono le protuberanze solari, esplosioni causate da aumenti molto rapidi dell'energia immagazzinata nel campo magnetico. Tra i fenomeni che accompagnano le protuberanze vi sono riaggiustamenti del campo magnetico, intense emissioni di raggi X e onde radio, ed emissione di particelle molto energetiche che a volte raggiungono la Terra, disturbando le comunicazioni radio e provocando le aurore polari.

3.3

 

La corona

L'atmosfera esterna del Sole, che si estende per molti raggi solari a partire dal disco, è detta corona. Tutte le caratteristiche morfologiche della corona sono dovute alla presenza del campo magnetico solare. La maggior parte della corona consiste di grandi archi di gas caldo, che sono più piccoli all'interno delle regioni attive e più grandi tra una regione attiva e l'altra. Le forme ad arco e a cerchio sono causate dal campo magnetico.

Negli anni Quaranta si scoprì che la corona è molto più calda della fotosfera. Quest'ultima, che è la superficie visibile del Sole, ha una temperatura di circa 6000 K; la cromosfera, che si estende per molte decine di migliaia di chilometri sopra la fotosfera, ha una temperatura prossima ai 30.000 K. Infine la corona, che si trova al di sopra della cromosfera fino al confine con lo spazio interplanetario, ha temperatura di oltre 1.000.000 K. Perché si mantengano queste condizioni termiche, ci deve essere un flusso diretto di energia verso di essa. Attualmente uno dei problemi maggiori dell'astrofisica solare è spiegare il meccanismo per mezzo del quale tale calore raggiunge la corona.

3.4

 

Vento solare

A una distanza dalla superficie del Sole pari a uno o due raggi solari, il campo magnetico è abbastanza intenso da intrappolare in grandi anelli il materiale coronale caldo. Lontano dal Sole il campo è più debole e il gas può letteralmente "spingere" il campo magnetico nello spazio. Quando ciò accade, il materiale fluisce lungo le linee del campo fino a grande distanza. Il flusso costante di materiale espulso dalla corona è detto vento solare e tende a provenire da regioni dette buchi coronali, nelle quali il gas, essendo più freddo e meno denso che nel resto della corona, emette minori quantità di radiazione. Il vento solare che proviene da grandi buchi coronali (che possono sopravvivere per parecchi mesi) è particolarmente intenso. A causa della rotazione del Sole, queste regioni di intenso vento solare sono visibili dalla Terra con periodi di 27 giorni. Il vento solare, inoltre, produce interferenze rilevabili nel campo magnetico terrestre.

4

 

EVOLUZIONE DEL SOLE

Il passato e il futuro del Sole si possono dedurre dai modelli teorici dell'evoluzione stellare. Durante i suoi primi 50 milioni di anni, il Sole si contrasse fino a raggiungere pressappoco le dimensioni attuali. L'energia gravitazionale prodotta dal collasso del gas ne riscaldò l'interno e, quando il nucleo fu sufficientemente caldo, la contrazione si arrestò, mentre nel centro iniziarono le reazioni nucleari di fusione di idrogeno in elio. Il Sole si trova in questa fase della sua vita da circa 4,5 miliardi di anni e queste reazioni continueranno per altrettanto tempo.

Quando il combustibile si esaurirà, il Sole subirà alcune modificazioni: gli strati esterni si espanderanno dalle dimensioni attuali fino a sfiorare l'orbita della Terra, mentre il Sole diventerà una stella gigante rossa, un po' più fredda di adesso ma 10.000 volte più brillante. La nostra stella rimarrà una gigante rossa, con un nucleo nel quale avviene la fusione dell'elio, per circa mezzo miliardo di anni; esso non è abbastanza massiccio per innescare reazioni nucleari successive o, addirittura, un'esplosione distruttiva come accade ad altre stelle. Dopo la fase di gigante rossa, il Sole si contrarrà fino a diventare una nana bianca, di dimensioni simili a quelle della Terra, e si raffredderà lentamente per molti miliardi di anni.

 

LA LUNA

 

Il Sistema Solare   |   La Terra   |   Il Sole   |   La Luna   |   I pianeti

Gli asteroidi   |   Le comete   |   Meteore e meteoriti   |   Le stelle

Nebulose e ammassi stellari   |   La Via Lattea   |   Le galassie

 

1

 

INTRODUZIONE

Luna L'unico satellite naturale della Terra. Ha un raggio di 1.737 km, poco più un quarto di quello della Terra, e massa pari a un ottantunesimo di quella terrestre. La densità media (3,4 g/cm³) e l'accelerazione di gravità sono quindi, rispettivamente, tre quinti e un sesto di quelle del nostro pianeta. La Luna non possiede atmosfera e sulla sua superficie non vi è traccia di acqua allo stato liquido.

La Luna orbita attorno alla Terra a una distanza media di 384.400 km, compiendo una rivoluzione completa in 27 giorni, 7 ore, 43 minuti e 11,5 secondi (rivoluzione siderale). L'orbita è ellittica e inclinata di 5° e 8' rispetto al piano dell'eclittica. Per compiere l'intero ciclo delle fasi, ovvero per ritornare nella stessa posizione rispetto a un determinato punto della superficie terrestre, impiega invece 29 giorni, 12 ore, 44 minuti e 2,8 secondi (rivoluzione sinodica o mese lunare). Il periodo di rotazione è uguale a quello di rivoluzione (27,32 giorni); per questo motivo il satellite rivolge verso il nostro pianeta sempre la stessa faccia. Benché appaia luminosa, la Luna riflette nello spazio solo il 7% della luce che le arriva dal Sole: l'albedo è 0,07.

2

 

LA LUNA VISTA DALLA TERRA

Dalla Terra è visibile poco più del 50% dell'intera superficie lunare. La presenza di un moto relativo Terra-Luna, che comporta piccole variazioni dell'angolo solido sotto cui il satellite è visto da un determinato punto della superficie terrestre, permette inoltre di osservare direttamente le regioni situate ai bordi del corpo lunare.

Nel corso di un mese sinodico il nostro satellite mostra un ciclo di fasi dovute alla posizione che esso occupa sia rispetto alla Terra, dalla quale viene osservato, sia rispetto al Sole, che lo illumina rendendolo visibile. Nella cosiddetta fase di novilunio (o di Luna nuova), la Luna si trova tra la Terra e il Sole e la faccia che essa rivolge verso la superficie terrestre, non essendo illuminata dai raggi del Sole, ci appare oscura; durante la fase di primo quarto, circa una settimana dopo, la Luna, il Sole e la Terra sono situati ai vertici di un triangolo rettangolo ideale e solo metà della superficie illuminata dai raggi solari è rivolta verso il nostro pianeta: vediamo allora solo un semicerchio luminoso. Nella fase di plenilunio (o di Luna piena), la Luna si trova dalla parte opposta del Sole, rispetto alla Terra, e ci rivolge l'intero emisfero illuminato. Nell'ultima fase, l'ultimo quarto, si vede nuovamente solo metà del disco lunare.

La Luna è crescente nella prima metà del ciclo, quando passa da nuova a piena, e calante nella seconda metà.

3

 

LA SUPERFICIE LUNARE

Alla superficie, la temperatura della Luna varia tra un massimo di 127 °C al mezzogiorno lunare e un minimo di -173 °C subito prima del tramonto del Sole.

Osservato dalla Terra, il nostro satellite mostra alcune regioni scure che fin dall’antichità vengono denominate mari; si tratta di ampie distese di polveri finissime.

Una gran quantità di dettagli è stata rivelata dalle osservazioni al telescopio e dall'analisi delle immagini riprese dalle moderne sonde spaziali. Le caratteristiche visibili della superficie lunare comprendono crateri, catene montuose, pianure, scarpate e canali. Il cratere più grande, il Bailly, ha diametro di circa 295 km ed è profondo 3960 m, mentre il mare più largo è il Mare Imbrium (mare delle Tempeste), largo circa 1200 km. Le montagne più alte, nelle catene Leibnitz e Doerfel, in prossimità del polo sud lunare, hanno picchi che raggiungono i 6100 m di altezza, confrontabili con quelli della catena dell'Himalaya. I più piccoli crateri visibili con i telescopi sono di circa 1,6 km di diametro.

L'origine dei crateri lunari fu a lungo oggetto di discussione; le teorie moderne indicano che quasi tutti si formarono a causa degli impatti violenti di velocissime meteoriti o di piccoli asteroidi, avvenuti, nella maggior parte dei casi, nel corso delle prime fasi della formazione della Luna. Alcuni crateri, canali e picchi conici mostrano invece caratteristiche inequivocabili della loro origine vulcanica.

4

 

ORIGINE DELLA LUNA

Prima dell'era moderna delle esplorazioni spaziali, gli scienziati proposero tre teorie principali riguardo all'origine della Luna: fissione dalla Terra, secondo la quale il satellite si staccò dalla Terra quando questa si era appena formata; formazione indipendente in orbita terrestre per condensazione a partire dalla nebulosa solare primordiale; e formazione lontano dal nostro pianeta con conseguente cattura. A partire dal 1975 lo studio delle rocce lunari e delle fotografie scattate sulla superficie del satellite avvalorarono una nuova ipotesi secondo cui quest'ultimo si sarebbe formato per accumulo di planetoidi.

4.1

 

Impatto di planetoidi

Pubblicata per la prima volta nel 1975, questa teoria sostiene che all'inizio del processo di formazione, almeno 4 miliardi di anni fa, il nostro pianeta venne colpito da un corpo di dimensioni paragonabili a quelle di Marte, detto planetoide. L'impatto catastrofico distrusse sia il corpo sia una parte del nostro pianeta e i detriti, entrati in orbita, si fusero formando la Luna. L'aspetto più debole della teoria dell'impatto di planetoidi è nel fatto che essa implica che la Terra si sia fusa dopo l'impatto, mentre la geochimica terrestre non sembra indicare un processo così radicale.

5

 

ESPLORAZIONE DELLA LUNA

Le osservazioni telescopiche del nostro satellite, condotte tra il XIX e il XX secolo, portarono a una conoscenza piuttosto dettagliata della sua faccia visibile. L'emisfero nascosto, fino ad allora inosservato, venne fotografato per la prima volta nell'ottobre del 1959 dalla sonda sovietica Lunik III. Le immagini mostrarono che esso è simile a quello visibile, eccetto per il fatto che non vi sono mari, e che i crateri coprono l'intera superficie lunare, variando in dimensione da giganteschi a microscopici. Le fotografie scattate negli anni 1964 e 1965 dalle sonde statunitensi Rangers 7, 8 e 9 e Orbiters 1 e 2 confermarono queste osservazioni. La Luna ha complessivamente circa tremila miliardi di crateri con diametro maggiore di 1 m.

Negli anni Sessanta, le missioni delle sonde statunitensi Surveyor e di quelle sovietiche Lunik consentirono la misura diretta delle proprietà fisiche e chimiche del nostro satellite. Nel luglio 1969, durante l'allunaggio dell'Apollo 11 (vedi Esplorazione dello spazio), vennero scattate migliaia di fotografie e prelevati campioni del suolo lunare. Gli astronauti dell'Apollo installarono sofisticati strumenti per misurare le condizioni di temperatura e di pressione, per determinare il flusso di calore proveniente dall'interno del corpo del satellite e per analizzare le molecole e gli ioni che giungono sulla sua superficie (vedi Fasce di radiazione). Furono raccolti e inviati a Terra anche dati sul campo magnetico e gravitazionale della Luna, sull'entità delle vibrazioni sismiche della superficie prodotte dai cosiddetti lunamoti (i “terremoti” lunari) e sull'effetto degli impatti di meteoriti. Infine, per mezzo di fasci laser, venne misurata con grande precisione la distanza Terra-Luna.

Dalla misura dell'età delle rocce lunari, si scoprì che la Luna ha circa 4,6 miliardi di anni, cioè più o meno la stessa età della Terra e presumibilmente del resto del sistema solare. Le rocce dei mari lunari si formarono per solidificazione di rocce fuse tra 3,16 e 3,96 miliardi di anni fa. Sono simili ai basalti, un tipo di roccia vulcanica estremamente diffuso sul nostro pianeta. Gli altipiani lunari (o continenti), invece, si formarono probabilmente da un tipo di roccia ignea meno densa, detta anortite, che consiste quasi interamente di un minerale chiamato plagioclasio. Altri importanti campioni lunari comprendono i vetri, le brecce (complessi miscugli di frammenti di roccia tenuti insieme dall'effetto del calore o della pressione) e le regoliti (sottili frammenti di roccia prodotti miliardi di anni fa dal bombardamento di meteoriti). Vedi Geologia.

Il campo magnetico della Luna è meno intenso ed esteso di quello terrestre. Alcune rocce lunari sono debolmente magnetiche e ciò indica che esse si solidificarono in presenza di un campo magnetico più intenso di quello attuale. Le misure suggeriscono che la temperatura interna della Luna raggiunga i 1600 °C, un valore che supera il punto di fusione della maggior parte delle rocce lunari. L'evidenza sperimentale di eventi sismici lascia pensare, inoltre, che alcune zone vicine al centro del satellite possano essere composte da materiali allo stato liquido.

I sismografi installati sulla superficie lunare hanno registrato segnali che indicano l'impatto di 70/150 meteoriti con masse comprese tra 100 g e 1000 kg ogni anno. La Luna è ancora bombardata dallo spazio, benché meno intensamente che nel passato e ciò può rappresentare un problema per l'eventuale installazione di basi permanenti sul suo suolo. La superficie lunare è coperta da uno strato di pietrisco che, nelle regioni dei mari, è probabilmente profondo parecchi chilometri. Si pensa che anch'esso si sia formato per l'impatto di meteoriti.

L'atmosfera della Luna è meno densa del miglior vuoto ottenibile nei laboratori. Tutti e sei gli equipaggi che approdarono sul suolo lunare (durante le missioni Apollo 11, 12, 14, 15, 16 e 17) riportarono a Terra campioni di rocce, per un peso complessivo di 384 kg. Solo nell'ultima missione, quella dell'Apollo 17, vi era a bordo un geologo, H.H. Schmitt. Egli trascorse 22 ore esplorando la regione della valle Taurus-Littrow, e percorse 35 km con un fuoristrada. L'analisi accurata dei dati e delle rocce ricavati dalle missioni lunari continua ancora oggi.

 

I PIANETI

 

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INTRODUZIONE

Pianeta Corpo celeste non dotato di luce propria, in orbita intorno a una stella che lo illumina di luce riflessa. Per distinguerlo da corpi analoghi, un pianeta è definito più specificamente come un oggetto di massa non superiore a un certo multiplo di quella di Giove (il più grande del sistema solare); il valore esatto di questo multiplo, che segna il limite tra la classe dei pianeti e quella delle nane brune, è piuttosto controverso: in genere si considerano pianeti i corpi di massa non superiore a circa 20 masse gioviane e nane brune quelli di massa compresa tra 20 e 80 masse gioviane. Gli astri ancora più grandi sono vere e proprie stelle: sono infatti sufficientemente massivi da sviluppare l’energia gravitazionale necessaria a innescare le reazioni nucleari che le fanno brillare.

2

 

I PIANETI DEL SISTEMA SOLARE

I pianeti del sistema solare, in ordine di distanza dal Sole, sono Mercurio, Venere, Terra, Marte, Giove, Saturno, Urano e Nettuno (Plutone, declassato da settembre del  2006, non viene più considerato uh pianeta ma entra a far parte della classe dei "pianeti nani") percorrono orbite ellittiche intorno alla nostra stella e sono visibili in quanto ne riflettono la luce. Prendono invece il nome di pianetini o asteroidi corpi celesti più piccoli, anch’essi in orbita intorno al Sole e concentrati nella fascia compresa tra Marte e Giove.

Alla fine del 2003 è stato inoltre identificato, oltre l’orbita di Plutone, un oggetto del diametro di circa 1750 km che, per dimensioni e caratteristiche orbitali, potrebbe essere considerato il decimo pianeta del sistema solare. Gli astronomi lo hanno battezzato Sedna, dal nome di una divinità inuit. La comunità scientifica internazionale, e in particolare l’International Astronomical Union, non è compatta nel considerarlo un pianeta; si trova quindi di fronte alla necessità di riesaminare la definizione di pianeta, per poter classificare senza esitazioni Sedna e altri eventuali oggetti simili, troppo grandi per essere considerati asteroidi e forse troppo piccoli per poter essere considerati pianeti.

In base alla posizione dell’orbita rispetto alla fascia degli asteroidi, oltre che per una somiglianza chimica e morfologica, i pianeti del sistema solare si distinguono in pianeti interni o terrestri e in pianeti esterni o gioviani: i primi (Mercurio, Venere, Terra, Marte) si trovano all’interno della fascia degli asteroidi e sono costituiti essenzialmente da materiale roccioso; i secondi (Giove, Saturno, Urano, Nettuno, Plutone) si trovano all’esterno della fascia degli asteroidi e sono costituiti prevalentemente da gas e ghiaccio (fa eccezione Plutone, che pare abbia una composizione più simile a quella dei pianeti terrestri).

3

 

PIANETI EXTRASOLARI

Fino al 1992 si conoscevano soltanto i pianeti del sistema solare. In quell’anno, un gruppo di ricerca guidato da Alexander Wolszczan individuò il primo pianeta extrasolare, un corpo celeste di massa pari a circa 0,000047 volte la massa di Giove, in orbita intorno alla pulsar PSR 1257+12, nella costellazione della Vergine. L’avvistamento, confermato e reso pubblico nel 1995, fu seguito da numerose scoperte analoghe, tra cui quelle dei pianeti 51 Pegasi B (di massa pari alla metà della massa di Giove), 47 Ursae Majoris B (di massa pari a 2,4 volte la massa di Giove) e 70 Virginis B (6,6 volte la massa di Giove). Tra tutti i sistemi planetari individuati finora, il più simile a quello solare ruota intorno alla stella HD70642, nella costellazione della Poppa (Puppis), situata a circa 90 anni luce dalla Terra; il pianeta ha una massa doppia di quella di Giove e dista dalla sua stella 3,3 volte la distanza Terra-Sole.

Per adesso, il livello tecnologico degli strumenti utilizzati nella ricerca astronomica consente solo l’individuazione dei pianeti più grandi. Il pianeta più piccolo che sia mai stato osservato ha una massa circa 14 volte quella della Terra e orbita intorno alla stella µ Arae, nella costellazione, appunto dell’Ara, o Altare. Si presume che nei prossimi decenni si raggiungerà il livello necessario per individuare anche i pianeti più piccoli, più simili alla nostra Terra.

 

Mercurio

Mercurio. Il pianeta più vicino al Sole. Ha un raggio di 2.440 km, pari a circa un terzo di quello terrestre, e una densità media (5,4 g/cm³) pressoché uguale a quella della Terra. Mercurio ruota intorno al Sole a una distanza media di 57,91 milioni di km, descrivendo un'orbita ellittica, con periodo di rivoluzione di 0,2408 anni e periodo di rotazione di 58,6 giorni. Poiché la sua superficie è composta da rocce irregolari, porose e scure, esso riflette poco la luce solare.

Studi spettroscopici indicano la presenza di una sottile atmosfera, contenente prevalentemente sodio e potassio emessi dalla crosta del pianeta. Le collisioni con altri corpi formati all'inizio della storia del sistema solare, potrebbero aver "strappato" i materiali più leggeri, e ciò spiegherebbe la densità relativamente alta di Mercurio. La forza di gravità sulla superficie del pianeta è circa un terzo di quella sulla superficie terrestre.

La sonda spaziale Mariner 10, che sorvolò Mercurio due volte nel 1974 e una volta nel 1975, trasmise immagini di una superficie costellata di crateri, con qualche somiglianza con quella lunare, e registrò una temperatura di circa 350 °C sul lato esposto al Sole e di circa -150 °C sul lato in ombra. Il Mariner 10 misurò anche un campo magnetico d'intensità pari all'1% di quello terrestre. La superficie di Mercurio, a differenza di quella della Luna, è solcata da lunghe scarpate, che risalgono forse al periodo di contrazione che il pianeta attraversò durante il processo di raffreddamento, all'inizio della sua storia. Nel 1991 potenti radiotelescopi a terra rivelarono segni di vasti strati di ghiaccio nelle regioni polari del pianeta, aree che non erano state rilevate dal Mariner 10.

Il perielio di Mercurio (il punto della sua orbita più vicino al Sole) presenta un lento moto di precessione; la spiegazione scientifica di questo moto fu uno dei primi successi della teoria della relatività.

 

Venere

1

 

INTRODUZIONE

Venere. Secondo pianeta del sistema solare, in ordine di distanza dal Sole. Dopo la Luna, Venere è l'oggetto più brillante del cielo notturno. Nell'antichità era detto Vespero, o stella della sera, quando appariva al tramonto, e stella del mattino oppure Phosphoros o Lucifero, quando era visibile poco prima dell'alba. A causa delle rispettive posizioni di Venere, Terra e Sole, il pianeta infatti non è mai visibile più di tre ore prima dell'alba e per oltre tre ore dopo il tramonto.

Osservato al telescopio, Venere mostra un ciclo di fasi simili a quelle della Luna, che si ripetono con un periodo sinodico di 1,6 anni. Raggiunge la sua massima brillantezza (con magnitudine -4,4) durante la fase crescente. I transiti sul disco solare sono rari, e avvengono a coppie, a intervalli di poco più di un secolo. I prossimi due sono previsti per il 2004 e il 2012.

2

 

ESPLORAZIONE

Venere è completamente coperto di nubi; ciò naturalmente rappresenta un ostacolo per le osservazioni dirette dalla Terra e la maggior parte delle informazioni di cui disponiamo sono state fornite dalle sonde spaziali, in particolare da quelle che si sono posate sulla superficie del pianeta attraversando la densa atmosfera che lo circonda. Il primo sorvolo di Venere venne effettuato dalla sonda Mariner 2, lanciata dagli Stati Uniti nel 1962, seguita dal Mariner 5 nel 1967 e dal Mariner 10 nel 1974. A partire dagli anni Sessanta furono inviate verso il pianeta anche le numerose sonde sovietiche del tipo Venera; le sonde Vega 1 e 2, dirette verso la cometa di Halley nel 1984, sorvolarono Venere sganciando delle capsule sulla sua superficie. Informazioni dettagliate vennero fornite dalle due navicelle statunitensi Pioneer Venus dotate di speciali radar e sofisticati strumenti di misura. La sonda Magellano, lanciata nel 1989, iniziò l'anno successivo a trasmettere immagini radar del pianeta. Esse sono state elaborate al computer per fornire una spettacolare rappresentazione tridimensionale della superficie.

3

 

ATMOSFERA

In superficie, la temperatura della densa atmosfera di Venere supera i 460 °C e la pressione è circa 90 volte maggiore di quella terrestre. L'atmosfera è composta per il 97% da anidride carbonica (CO2) e contiene piccole quantità di vapori di acido solforico e di azoto, e tracce di vapor d'acqua. A circa 50 km di altitudine si trova la base delle nubi, composte quasi interamente da acido solforico concentrato. Il pianeta non ha un campo magnetico rilevabile.

L'elevata concentrazione di anidride carbonica è probabilmente la conseguenza di un intenso effetto serra che avrebbe causato l'evaporazione degli oceani e in generale dell'acqua allo stato liquido presente in superficie, liberando di conseguenza enormi quantità di CO2 nell'atmosfera.

Alla sommità delle nubi è possibile individuare alcune caratteristiche meteorologiche che forniscono informazioni sui venti che spirano nell'atmosfera. Ai livelli più alti essi interessano tutto il pianeta, dall'equatore ai poli, e raggiungono velocità dell'ordine dei 360 km/h. Malgrado questi forti venti d'alta quota, l'atmosfera nei pressi della superficie è generalmente calma e fino a una quota di circa 10 km la velocità del vento è compresa tra 3 e 18 km/h.

4

 

CARATTERISTICHE DELLA SUPERFICIE

Venere ruota molto lentamente attorno al proprio asse in direzione contraria a quella degli altri pianeti, rivolgendo alla Terra sempre lo stesso lato. L'osservazione diretta di questo lato mediante radiotelescopi ha permesso di raccogliere informazioni dettagliate.

I dati ottenuti dalle sonde statunitensi e sovietiche, analizzati parallelamente alle osservazioni effettuate dalla Terra, hanno mostrato che la superficie del pianeta è sostanzialmente piatta, con due grandi altipiani denominati terre di Ishtar e di Afrodite. Quest'ultimo, meno elevato del primo, si estende lungo quasi metà della regione equatoriale e si trova sulla "faccia" nascosta di Venere.

Il radar a bordo della sonda Magellano ha rivelato immensi vulcani attivi, ampie colate di lava e molti crateri meteoritici. Il più grande cratere osservato ha diametro di circa 160 km, mentre quello più piccolo non supera i 5 km di diametro. Il radar della sonda sarebbe stato in grado di risolvere, se vi fossero stati, anche crateri ancora più piccoli ma sembra che la densa atmosfera protegga Venere dalla caduta di asteroidi di dimensioni ridotte.

Nel complesso le sonde hanno rivelato tracce di un'attività tettonica notevole, almeno nel passato. Tali tracce includono solchi, canyon, una depressione che si estende per 1400 km, e un immenso cono vulcanico la cui base ha diametro di oltre 700 km. Le sonde sovietiche hanno inviato a terra fotografie delle zone nelle quali si sono posate e hanno rilevato una radioattività naturale delle rocce simile a quella del granito. Le rocce aguzze visibili nelle foto sovietiche fanno ritenere che esista un'attività geologica che contrasta l'erosione.

 

Marte

1

 

INTRODUZIONE

Marte. Quarto pianeta del sistema solare, in ordine di distanza dal Sole. Presenta diverse analogie con la Terra, tra cui la durata del giorno e l'alternarsi di un ciclo di stagioni; per questo motivo è stato ed è oggetto di numerose missioni esplorative volte a rivelare l’eventuale presenza di forme di vita sulla sua superficie. Marte ha due piccole lune, Phobos e Deimos, aventi diametro rispettivamente di 21 km e 12 km e una superficie fortemente craterizzata; si tratta forse di asteroidi catturati dal pianeta all'inizio della sua evoluzione.

2

 

ASPETTO DALLA TERRA

Osservato senza l'ausilio di un telescopio, Marte si presenta come un oggetto rossastro di luminosità variabile. Nel momento di massima vicinanza alla Terra (55 milioni di km) è, dopo la Luna e Venere, l'oggetto più luminoso del cielo notturno. Le condizioni migliori per l'osservazione diretta si verificano quando il pianeta si trova in opposizione, vale a dire quando si trova più vicino alla Terra; queste favorevoli circostanze si ripetono ogni 15 anni circa.

Se la si osserva con un telescopio, la superficie di Marte presenta ampie regioni di un colore arancione brillante, alcune aree più scure e altre rossastre, i cui confini variano seguendo il ciclo delle stagioni del pianeta. A causa dell'inclinazione dell'asse di rotazione e dell'eccentricità dell'orbita, infatti, il pianeta è caratterizzato da estati meridionali corte e relativamente calde e da inverni lunghi e freddi. Il colore rosso è dovuto alla superficie fortemente ossidata, mentre le aree scure sono probabilmente composte da rocce simili ai basalti terrestri, con la superficie ossidata e alterata dagli agenti atmosferici. Le aree luminose sembrano di composizione simile e sono ricoperte da polveri fini. La scapolite, un minerale abbastanza raro sulla Terra, è diffusa ovunque sulla superficie marziana e potrebbe forse liberare nell'atmosfera notevoli quantità di anidride carbonica (CO2).

Ai poli del pianeta vi sono ampie calotte apparentemente composte da ghiaccio, i cui confini si allargano e si ritirano secondo le stagioni. I dati raccolti dalla missione europea Mars Express all’inizio del 2004 sembrerebbero confermare l’ipotesi che si tratti proprio di ghiaccio d’acqua. Il ciclo stagionale di Marte è studiato da almeno due secoli: nel corso dell’autunno si formano, in prossimità dei poli, addensamenti di nubi brillanti, al di sotto delle quali si deposita un sottile strato di anidride carbonica. In primavera, alla fine della lunga notte polare, queste nubi si dissipano e i confini delle calotte glaciali si ritirano gradualmente verso i poli, evaporando a causa del calore solare. A metà estate la contrazione delle calotte si arresta e fino all'autunno successivo sopravvive un brillante deposito di brina e ghiaccio.

Oltre alle nubi polari, composte prevalentemente da anidride carbonica, si osservano foschie d'alta quota e nubi di ghiaccio. Queste ultime derivano dal raffreddamento di masse d'aria che si innalzano sopra le alture. Ampie nubi giallastre, che trasportano la polvere sollevata dai venti, sono particolarmente evidenti durante le estati nell'emisfero meridionale.

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ATMOSFERA

L'atmosfera di Marte è composta quasi interamente da anidride carbonica (95%), ma sono presenti piccole quantità di azoto (2,7%), argo (1,6%), ossigeno (0,2%) e tracce di vapore acqueo, monossido di carbonio e gas nobili. In superficie la pressione media è circa lo 0,6% di quella terrestre, vale a dire, uguale a quella che si misura nella nostra atmosfera a 35 km di quota. La temperatura superficiale varia molto a seconda dell'ora, della stagione e della latitudine; in estate può superare i 15 °C, ma mediamente ha un valore di circa -33 °C. Poiché l'atmosfera è molto rarefatta, favorisce il verificarsi di escursioni termiche superiori ai 100 °C.

La quantità di vapore acqueo presente nell'atmosfera è estremamente bassa e variabile; maggiori concentrazioni di questa sostanza si trovano nei pressi delle calotte glaciali, soprattutto in primavera. Le condizioni di temperatura e pressione presenti su Marte assomigliano a quelle di un deserto d'alta quota estremamente freddo: sulla maggior parte della superficie, sono troppo basse per permettere all'acqua di esistere allo stato liquido.

In alcuni periodi dell’anno, alcune aree di Marte sono soggette a venti tanto forti da creare vere e proprie tempeste di polvere. Tra la fine della primavera e l'inizio dell'estate, nell'emisfero sud, se ne formano di enormi proporzioni, tanto che possono oscurare la superficie per settimane o addirittura per mesi.

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SUPERFICIE E INTERNO

Se si immagina di dividere la superficie di Marte con un cerchio inclinato di circa 30° rispetto all'equatore, si individuano due grandi emisferi. Quello meridionale si presenta come un territorio fortemente craterizzato, risalente alla storia primordiale di Marte, quando, come tutti i pianeti del sistema solare, fu soggetto a un bombardamento meteoritico molto intenso. L'emisfero settentrionale, invece, presenta una superficie meno craterizzata e quindi più giovane, probabilmente formata da colate vulcaniche successive. Sono state identificate due sedi di un'attività vulcanica passata: l'altopiano di Elysium e la regione di Tharsis. In quest'ultima zona si trovano alcuni dei principali vulcani del sistema solare: ad esempio, il monte Olimpo, una struttura che mostra tutte le caratteristiche tipiche di un vulcano a scudo, raggiunge un'altezza di oltre 25 km e ha una base di più di 600 km di diametro. Non vi sono prove di attività vulcanica ancora in atto.

Le faglie presenti sulla superficie sono interpretate come fratture crostali provocate da locali rigonfiamenti ed espansioni del suolo; non vi è evidenza, infatti, di un complesso di fenomeni tettonici analoghi a quelli che regolano le dinamiche della litosfera terrestre.

Alcune zone della superficie sono solcate da canali che fanno pensare a resti di fiumi ormai estinti. Se ne conoscono di due tipi: uno di questi potrebbe essere stato originato dal rilascio improvviso e catastrofico di grandi quantità di acqua allo stato liquido. L’origine del fenomeno che avrebbe causato la fusione improvvisa e localizzata di ghiaccio in queste aree non è ancora chiara, ma risalirebbe alla storia antica del pianeta, vale a dire, a oltre tre miliardi di anni fa. Vi sono poi canali più piccoli, nei quali sono meno evidenti gli effetti dell'erosione esercitata dall'acqua. La presenza di canali sulla superficie di Marte, in ogni caso, costituirebbe una prova che nel suo passato siano esistite condizioni di pressione e temperatura diverse da quelle attuali, che avrebbero consentito la formazione e il mantenimento di acqua allo stato liquido.

Altre caratteristiche geomorfologiche attestano l’importanza dei venti ai fini dell’azione erosiva della superficie: in particolare, vi sono grandi dune di sabbia e altri tipi di depositi riconducibili proprio all’azione erosiva del vento.

Dell'interno di Marte si conosce poco. Il valore relativamente basso della densità indica che il pianeta non può avere un nucleo metallico molto grande. Gli studi condotti sui dati raccolti dalla missione della NASA Mars Global Surveyor sembrerebbero indicare che si tratti di un nucleo fluido, a differenza di quanto ritenuto in passato. L’ipotesi è stata formulata in base alla stima delle deformazioni prodotte sul pianeta dall’attrazione gravitazionale solare: tali deformazioni, di entità rilevabile, non sarebbero giustificate se si assumesse un nucleo planetario rigido. La crosta del pianeta, a giudicare dalla presenza di grandi strutture come la regione di Tharsis, potrebbe essere spessa anche 200 km, cioè cinque o sei volte di più di quella terrestre. Un sismometro collocato a bordo del modulo di atterraggio del Viking 2 non ha rivelato la presenza di fenomeni sismici.

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LE ESPLORAZIONI

La prima visione complessiva delle caratteristiche di Marte e dei suoi satelliti venne fornita dalle sei missioni effettuate tra il 1964 e il 1976 dalle sonde statunitensi Mariner. Le prime quattro si limitarono a transitare in vicinanza del pianeta e a raccogliere immagini ravvicinate della superficie (una di queste, in realtà, non portò a termine la missione); le ultime due, invece, erano state progettate per entrare per la prima volta in orbita intorno a Marte e per osservarlo in modo più sistematico (anche in questo caso, solo una delle due missioni fu portata a termine con successo).

Nel 1976 furono inviate su Marte le prime sonde di tipo lander, vale a dire capaci di posarsi sul suolo: Viking 1 e 2, che svolsero le prime indagini alla ricerca di tracce di vita sul pianeta. Seguirono, nel 1988, due missioni sovietiche volte all’esplorazione del satellite Phobos, entrambe fallite; soltanto una delle due, prima che si perdesse il contatto radio, riuscì a inviare a Terra alcuni dati e immagini.

Negli anni Novanta del XX secolo la NASA ha promosso un vasto programma di missioni alla ricerca di acqua e tracce di vita su Marte. Sono state inviate diverse sonde, sia del tipo orbiter che del tipo lander, progettate per raccogliere immagini, effettuare analisi chimiche e misurare parametri fisici. Alcune di esse sono andate perdute prima del compimento della missione (Mars Climate Observer, Mars Polar Lander); altre, invece, hanno funzionato correttamente; tra queste ultime si ricorda la missione di Mars Pathfinder, il piccolo lander approdato sul pianeta nel luglio 1997 con l’aiuto di un sistema di airbag e paracadute. La sonda riuscì come previsto a depositare sulla superficie di Marte il rover Sojourner, un robot capace di muoversi sul suolo e raccogliere immagini, effettuare analisi chimiche e incamerare dati sull’atmosfera e le rocce marziane. Entrambi i dispositivi funzionarono per un periodo ben superiore a quello richiesto dalla missione, e fornirono preziosi dati e immagini.

Dopo la conclusione, nel 2001, della missione Mars Global Surveyor, che ha fruttato la mappatura completa della superficie del pianeta, è seguita Mars Odyssey: entrata in orbita nell’ottobre del 2001, la sonda deve rilevare l’eventuale presenza di acqua nel sottosuolo e studiare le condizioni elettromagnetiche del pianeta, in vista di future, più approfondite esplorazioni. Altre missioni NASA sono state programmate in collaborazione con l’Agenzia Spaziale Europea (ESA): Mars Express e Mars Exploration Rovers, partite nel 2003 – la seconda basata sull’uso di una coppia di sonde simili a Pathfinder, denominate Spirit e Opportunity –, Mars Reconnaissance Orbiter, fissata per il 2005, e altre ancora.

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RICERCA DELLA VITA

L'idea che su Marte sia potuta esistere qualche forma di vita risale a molto tempo fa. Nel 1877 l'astronomo italiano Giovanni Schiaparelli annunciò di aver osservato sulla superficie del pianeta un complesso sistema di canali. L'astronomo statunitense Percival Lowell rese pubblica la scoperta parlando di canali artificiali e ipotizzando che queste strutture rappresentassero il tentativo effettuato da esseri intelligenti di irrigare un pianeta arido. Le osservazioni dalle sonde hanno smentito tali ipotesi e altre presunte prove di vita su Marte. Al momento, non esiste alcuna traccia di materiale organico sul pianeta. L'acqua si trova sotto forma di ghiaccio, solo ai poli o nel sottosuolo e, come vapore o come cristalli di ghiaccio, in piccole tracce nell'atmosfera. Inoltre quest’ultima è molto rarefatta, il che espone la superficie a una dose massiccia (letale per eventuali forme di vita) di radiazione ultravioletta e agli effetti chimici distruttivi di sostanze altamente ossidanti come il perossido di idrogeno.

A tutto questo si aggiungono i risultati degli ultimi studi condotti sul clima della trascorsa storia geologica del pianeta, effettuati dall’Università del Colorado. Tali studi escluderebbero che possano essersi mai instaurate condizioni ambientali favorevoli allo sviluppo della vita: nella maggior parte della sua esistenza, infatti, Marte sarebbe stato perlopiù freddo e asciutto, e quindi inospitale anche per le forme biologiche più rudimentali.

L’ipotesi che il pianeta possa avere conosciuto la vita, in ogni caso, non è ancora del tutto esclusa. Grande clamore aveva sollevato la notizia divulgata dalla NASA nel 1996 secondo la quale, in un meteorite marziano trovato in Antartide, sarebbero state identificate presunte tracce di organismi simili a batteri. Una conferma definitiva a tutte queste ipotesi si potrà avere solo quando sarà possibile prelevare campioni del suolo marziano da analizzare accuratamente in laboratorio. Sono in corso numerosi studi per realizzare, nel corso del XXI secolo, una missione verso Marte con equipaggio a bordo.

 

Giove

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INTRODUZIONE

Giove. Quinto pianeta in ordine di distanza dal Sole e primo per dimensioni tra quelli del sistema solare. Ha volume 1400 volte maggiore di quello della Terra, ma la sua densità media (1,3 g/cm³) è circa un quarto di quella terrestre: ciò indica che Giove è formato da gas, piuttosto che da metalli e rocce come i pianeti interni.

Orbita attorno al Sole a una distanza media di 778,4 milioni di km (5,2 volte maggiore di quella della Terra), compiendo una rivoluzione completa in 11,86 anni; il suo periodo di rotazione è di 0,414 giorni e non è uniforme. La rapida rotazione produce uno schiacciamento ai poli del pianeta, visibile anche al telescopio. Giove mostra delle bande, rese più appariscenti dai colori pastello delle nubi, dovute alla presenza di forti correnti atmosferiche; una delle strutture più notevoli è la famosa regione ovoidale color ocra nota come Grande Macchia Rossa. I colori sono dovuti a tracce di composti che si formano a seguito di reazioni chimiche indotte dalla luce ultravioletta, da scariche elettriche e dal calore; alcuni di questi composti sembrano simili alle molecole organiche che si formarono sulla Terra primordiale e che gettarono le basi della vita. Vedi Esobiologia.

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COMPOSIZIONE, STRUTTURA E CAMPO MAGNETICO

La conoscenza scientifica del sistema di Giove aumentò enormemente nel 1979, con le straordinarie missioni delle sonde Voyager 1 e 2, lanciate dalla NASA. Le osservazioni spettroscopiche dalla Terra avevano già mostrato che la maggior parte dell'atmosfera di Giove è composta di idrogeno molecolare; gli studi nell'infrarosso delle sonde Voyager indicarono che l'87% circa è H2 e che la restante parte è costituita da elio e da quantità estremamente ridotte di vapor d'acqua, metano, neon e acido solforico. La bassa densità osservata suggerisce che l'interno del pianeta abbia sostanzialmente la stessa composizione dell'atmosfera (in realtà, per un pianeta gassoso è difficile dire dove finisca l’atmosfera e dove inizi il pianeta vero e proprio; per convenzione si suole considerare come superficie del pianeta quella su cui i gas raggiungono la pressione di 1 atmosfera, pari a quella presente sulla superficie terrestre al livello del mare in condizioni standard).

Giove è composto perlopiù dai due elementi più leggeri e più abbondanti dell'universo – idrogeno ed elio – e presenta quindi una composizione molto simile a quella del Sole e delle altre stelle. L'enorme pianeta rappresenterebbe perciò una condensazione diretta di una parte della nebulosa solare primordiale, la grande nube di gas e polveri interstellari dalla quale si formò l'intero sistema solare, circa 4,6 miliardi di anni fa.

Giove irradia nello spazio circa il doppio dell'energia che riceve dal Sole. La fonte di questa energia sembra essere un lento collasso gravitazionale dell'intero pianeta.

La turbolenta atmosfera di Giove è fredda. Inoltre periodiche fluttuazioni di temperatura negli strati superiori rivelano un sistema di venti variabile, simile a quello delle regioni equatoriali della stratosfera terrestre. Le fotografie che documentano i cambiamenti nelle nubi di Giove mostrano la nascita e l'evoluzione di enormi sistemi ciclonici.

Alle basse temperature dell'alta atmosfera gioviana (circa -125 °C), l'ammoniaca ghiaccia formando i bianchi cirri visibili in molte fotografie trasmesse dalle sonde Voyager. Nelle regioni più profonde può condensare anche l'idrosolfuro di ammonio, che si raccoglie nelle nubi che formano lo strato scuro diffuso del pianeta.

La temperatura alla sommità di queste nubi è circa -50 °C e la pressione atmosferica è pressoché doppia rispetto a quella terrestre misurata al livello del mare. Benché sia direttamente visibile solo lo strato più esterno del pianeta, i calcoli mostrano che la temperatura e la pressione continuano ad aumentare verso l'interno, determinando condizioni fisiche alle quali l'idrogeno liquefa per poi transire allo stato metallico altamente conduttore. Nel centro potrebbe esistere un nucleo di materiale solido.

In prossimità della superficie, il campo magnetico di Giove è 14 volte più intenso di quello terrestre e produce enormi fasce di radiazione nelle quali vengono intrappolate particelle cariche che circondano il pianeta fino a una distanza di 10 milioni di km.

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SATELLITI E ANELLI

Intorno a Giove sono stati contati 63 satelliti, molti dei quali, recentemente scoperti, sono però di piccole dimensioni. I quattro maggiori (Io, Europa, Ganimede e Callisto) vennero individuati da Galileo nel 1610.

Le moderne osservazioni mostrano che la densità media dei satelliti principali varia con la distanza dal pianeta, in modo simile a quanto accade per i pianeti del sistema solare. Io ed Europa, vicini a Giove, sono densi e rocciosi come i pianeti interni (Mercurio, Venere): Ganimede e Callisto, più lontani, sono composti perlopiù da ghiaccio d'acqua e hanno densità relativamente bassa. Probabilmente durante il processo di formazione, sia dei pianeti sia di questi satelliti, la vicinanza al corpo centrale (rispettivamente il Sole o Giove) impedì la condensazione delle sostanze più leggere.

La crosta ghiacciata di Callisto e Ganimede è segnata da numerosi crateri, segni di un antico bombardamento probabilmente da parte di nuclei di comete, simile al bombardamento di asteroidi che subì la Luna. Al contrario, la superficie di Europa è estremamente liscia: il satellite è ricoperto da uno strato di ghiaccio, percorso da una fitta e intricata rete di fratture, sotto il quale potrebbe esserci acqua liquida.

La superficie del satellite più interessante, Io, ha un aspetto singolare: vi sono zone giallastre, marroni e bianche punteggiate di nero. Io è sconvolto dal vulcanismo: circa dieci vulcani erano in eruzione nel 1979, al momento del passaggio del Voyager, e vi sono prove di eruzioni successive. Dalle bocche vulcaniche viene emesso biossido di zolfo che si condensa sulla superficie, formando un'atmosfera locale temporanea.

Gli altri satelliti di Giove sono molto più piccoli e meno studiati di quelli galileiani. Gli otto più esterni formano due gruppi distinti e sono probabilmente dei corpi catturati dall'intenso campo gravitazionale del pianeta.

Vicino al pianeta, le sonde Voyager scoprirono un debole sistema di anelli. Il materiale di cui sono formati potrebbe essere prodotto dalla disintegrazione di piccolissimi satelliti che si muovono all'interno degli anelli stessi, oppure dal satellite Metis che si trova appena all'esterno di essi.

 

Saturno

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INTRODUZIONE

Saturno. Sesto pianeta in ordine di distanza dal Sole e secondo per dimensioni tra quelli del sistema solare. La caratteristica principale di Saturno è il sistema di anelli, osservato per la prima volta da Galileo nel 1610 e descritto correttamente dall'astronomo olandese Christiaan Huygens.

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L'ESPLORAZIONE DEL SISTEMA

Osservato dalla Terra, Saturno appare come un oggetto molto luminoso, di colore giallastro. Attraverso un telescopio sono facilmente visibili gli anelli A e B e, in condizioni ottimali, anche D ed E. Con gli strumenti da terra sono stati individuati soltanto nove dei trenta satelliti di Saturno oggi conosciuti.

La conoscenza del pianeta è migliorata notevolmente dopo la spedizione delle tre sonde statunitensi Pioneer 11 (settembre 1979), Voyager 1 (novembre 1980) e Voyager 2 (agosto 1981). Esse trasportavano fotocamere e strumenti per l'analisi della radiazione elettromagnetica nelle regioni del visibile, dell’ultravioletto e dell’infrarosso. Erano inoltre equipaggiate con strumenti per lo studio del campo magnetico del pianeta e per la rivelazione di particelle cariche e di grani di polvere nel mezzo interplanetario.

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L'INTERNO

Saturno è costituito essenzialmente da idrogeno. La sua densità media, 0,69 g/cm³ (circa un ottavo di quella terrestre), è la più bassa rilevata nel sistema solare. L'enorme peso dell’atmosfera che lo circonda fa sì che la pressione aumenti rapidamente dall’esterno verso l'interno e che l’idrogeno passi conseguentemente dallo stato gassoso a quello liquido. Vicino al centro l'elemento, ancora più compresso, è ridotto allo stato metallico e, assumendo le proprietà di conduttore elettrico, permette l'instaurarsi di intense correnti responsabili del campo magnetico del pianeta. Al centro del pianeta si trovano elementi pesanti, concentrati in un piccolo nucleo solido di temperatura pari a circa 15.000 °C.

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L'ATMOSFERA DI SATURNO

L'atmosfera è costituita prevalentemente da idrogeno (97% circa) ed elio (3% circa), ma sono presenti anche piccole quantità di metano, ammoniaca e tracce di altri gas come etano, etilene e fosfina. Le immagini dei Voyager hanno mostrato vortici e mulinelli di nubi situati negli strati profondi dell'atmosfera. La temperatura alla sommità di queste nubi si aggira intorno ai -176 °C.

I movimenti delle nubi mostrano che il periodo di rotazione dell'atmosfera vicino all'equatore del pianeta è di circa 10 ore e 11 minuti, mentre le emissioni radio indicano che il corpo di Saturno e la sua magnetosfera ruotano con un periodo di 10 ore, 39 minuti e 25 secondi. La differenza, di circa 28 minuti e mezzo, tra questi due periodi, suggerisce che i venti equatoriali di Saturno abbiano velocità prossime ai 1.700 km/h.

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LA MAGNETOSFERA

La magnetosfera di Saturno consiste di una serie di fasce di radiazione a forma di ciambella nelle quali sono intrappolati elettroni e nuclei atomici. Le fasce si estendono per oltre due milioni di chilometri dal centro del pianeta e raggiungono distanze maggiori nella direzione opposta a quella del Sole. La magnetosfera interagisce con la ionosfera, lo strato superiore dell'atmosfera, provocando aurore polari con emissione di radiazione ultravioletta.

Un'enorme nube di atomi di idrogeno circonda l'orbita di Titano, il satellite più grande di Saturno, e si estende fino all'orbita di Rhea. Inoltre, un disco di plasma, composto da idrogeno e forse da ioni di ossigeno, si estende all'esterno dell'orbita di Tethys fino quasi all'orbita di Titano. Il plasma ruota in sincronia quasi perfetta con il campo magnetico di Saturno.

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IL SISTEMA DI ANELLI

Gli anelli di Saturno sono aggregati di detriti rocciosi e particelle ghiacciate, di dimensioni variabili da pochi micron ad alcuni metri (1 micron = 1 milionesimo di metro). Il loro spessore non supera i 10 km, mentre il raggio del più esterno raggiunge i 137.000 km. Nominati con le lettere dell’alfabeto nell'ordine in cui sono stati scoperti, dall'interno verso l'esterno sono noti come D, C, B, A, F, G ed E.

I tre anelli più grandi, facilmente individuabili da Terra anche con strumenti amatoriali, sono A, B e C: di questi, A e B sono separati da uno spazio detto “divisione di Cassini”, dal nome dell'astronomo italiano Giovanni Cassini che per primo la osservò e la descrisse. Le telecamere delle sonde Voyager 1 e 2 hanno poi permesso di individuare all’interno di questa divisione altri cinque anelli più sottili. L’anello D, il più vicino alla superficie del pianeta, è poco visibile in quanto di debolissima luminosità. Un’analisi approfondita della struttura degli anelli rivela in realtà che ciascuno di essi è costituito dall’unione di migliaia di anelli sottili ed è caratterizzato da numerose irregolarità, dovute probabilmente alle perturbazioni gravitazionali prodotte dai numerosi satelliti che orbitano intorno al pianeta.

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I SATELLITI

Oggi si conoscono trenta satelliti in orbita intorno a Saturno. Hanno dimensioni comprese tra i 4 e i 5.000 km di diametro e sono costituiti perlopiù da ghiacci di elementi leggeri. I cinque satelliti maggiori (Mimas, Encelado, Tethys, Dione e Rhea) hanno forma approssimativamente sferica e sono composti in gran parte di ghiaccio d'acqua. Il materiale roccioso costituisce forse il 40% della massa di Dione. Le superfici di questi satelliti sono fortemente craterizzate per l'impatto di meteoriti.

Anche i satelliti esterni Iperione e Giapeto sono composti principalmente da ghiaccio d'acqua. Su Giapeto vi è una regione molto scura che contrasta con il resto della superficie e che, insieme alla rotazione del satellite, è la causa della variazione di luminosità notata nel 1671 da Cassini. Phoebe percorre con moto retrogrado un'orbita molto inclinata rispetto all'equatore del pianeta; è probabilmente un corpo di origine cometaria catturato dal campo gravitazionale di Saturno.

La più grande delle lune di Saturno è Titano. Il suo diametro si aggira intorno ai 5.150 km; non è possibile stimare questo valore con maggiore precisione a causa della densa foschia arancione che nasconde la superficie del satellite. L'atmosfera di Titano è costituita da azoto, con tracce di metano, etano, acetilene, etilene, cianuro, monossido e biossido di carbonio. Sulla superficie la temperatura è di circa -182 °C e il metano e l'etano possono essere presenti sotto forma di “pioggia”, “neve”, ghiaccio e vapore. L'interno è composto probabilmente di un'uguale quantità di rocce e di ghiaccio. Non è stato rilevato alcun campo magnetico. L'emisfero meridionale è leggermente più luminoso, e l'unico dettaglio visibile è un anello scuro nella regione polare nord.

 

Urano

Urano. Settimo pianeta in ordine di distanza dal Sole, situato tra le orbite di Saturno e di Nettuno. Dalla Terra appare di sesta magnitudine, appena visibile a occhio nudo. Fu scoperto nel 1781 dall'astronomo William Herschel, che gli diede il nome di Georgium Sidus (Stella di Giorgio) in onore di re Giorgio III d'Inghilterra; il nome Urano, che venne proposto dall'astronomo tedesco Johann Elert Bode, entrò in uso alla fine del XIX secolo.

Urano ha un raggio di 25.560 km, una distanza media dal Sole di 2.857 milioni di km e un periodo di rivoluzione di 84,01 anni; compie una rotazione attorno a un asse inclinato di 98° rispetto al piano dell'orbita, con periodo di 0,718 giorni. La sua atmosfera è composta principalmente di idrogeno ed elio, con tracce di metano. Al telescopio il pianeta appare come un piccolo disco verde-bluastro con un debole bordo verde. Urano ha rispettivamente massa e volume 14,54 e 67 volte maggiori di quelli della Terra, mentre la gravità superficiale è 1,17 volte quella del nostro pianeta. Il campo magnetico, invece, è solo un decimo di quello terrestre, con asse inclinato di 55° rispetto all'asse di rotazione. La densità media è 1,3 g/cm³.

Nel 1977, sfruttando l'occultazione di una stella da parte del disco del pianeta, l'astronomo americano James L. Elliot notò la presenza di cinque anelli che giacevano sul suo piano equatoriale. Chiamati Alfa, Beta, Gamma, Delta ed Epsilon (dall'anello più interno a quello più esterno), essi formano una cintura che si estende fino a 51.300 km dal centro del pianeta; altri quattro anelli vennero scoperti nel gennaio del 1986 dalla sonda spaziale Voyager 2.

Urano ha 27 satelliti, che orbitano sul piano equatoriale e si muovono nello stesso verso di rivoluzione del pianeta. I due più grandi, Oberon e Titania, vennero individuati da Herschel nel 1787; Umbriel e Ariel vennero osservati nel 1851 dall'astronomo William Lassell; Miranda, il più interno dei satelliti noti prima del Voyager, fu scoperto nel 1948 dall'astronomo statunitense Gerard Peter Kuiper.

 

Nettuno

Nettuno. Ottavo pianeta del sistema solare, in ordine di distanza dal Sole. Ha un raggio di 24.760 km; il volume e la massa sono rispettivamente 72 volte e 17,15 volte più grandi rispetto a quelli della Terra e la densità media (1,6 g/cm³) è circa un terzo di quella terrestre. L'albedo è alta: l'84% della luce incidente sulla superficie del pianeta viene riflessa. Nettuno orbita intorno al Sole a una distanza media di 4.488 milioni di km, compiendo una rivoluzione completa in 164,8 anni; il periodo di rotazione è di 0,671 giorni. Non è visibile a occhio nudo, ma se osservato con un piccolo telescopio appare come un piccolo disco blu-verde senza caratteristiche definite. La temperatura superficiale, pari a circa -218 °C, è molto simile a quello di Urano, benché quest'ultimo sia molto più vicino al Sole. Ciò lascia supporre che Nettuno abbia una sorgente interna di energia. L'atmosfera è composta principalmente di idrogeno ed elio, ma è presente una piccola percentuale di metano, responsabile del caratteristico colore blu del pianeta.

Sono noti undici satelliti di Nettuno, tre dei quali, del diametro medio di soli 35 km, individuati alla fine del 2002. Il più grande e brillante dei satelliti è Tritone, scoperto nel 1846 (lo stesso anno della scoperta di Nettuno). Con un diametro di 2.705 km, Tritone è poco più piccolo della Luna; percorre un'orbita retrograda, diversamente dalla maggior parte dei satelliti principali del sistema solare. Nonostante sia estremamente freddo, è circondato da un'atmosfera di azoto con tracce di metano e mostra la presenza di foschie; sulla sua superficie sono stati osservati dei geyser che emettono materiale di composizione non nota. Nereide, il secondo satellite (scoperto nel 1949), ha diametro di soli 320 km. Altri sei satelliti vennero scoperti dalla sonda Voyager 2 (vedi Esplorazione dello spazio) nel 1989. Nettuno ha anche un sistema di cinque anelli. Il suo campo magnetico è inclinato di oltre 50° rispetto all'asse di rotazione.

L'esistenza di Nettuno venne ipotizzata nel 1846 dall'astronomo francese Urbain Le Verrier per spiegare le perturbazioni osservate nell'orbita di Urano. Il pianeta venne scoperto nello stesso anno dall'astronomo tedesco Johann Gottfried Galle, a meno di 1° dalla posizione prevista da Le Verrier.

 

Plutone - da settembre del 2006 non viene considerato più un pianeta ma viene declassato come "pianeta nano"

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INTRODUZIONE

Plutone. Era il nono e ultimo pianeta del sistema solare, in ordine di distanza dal Sole. L'esistenza di Plutone venne ipotizzata dall'astronomo statunitense Percival Lowell per spiegare le piccole perturbazioni osservate nel moto di Urano. Lo staff dell'osservatorio Lowell proseguì la lunga serie di osservazioni iniziate dallo scienziato e nel 1930 il pianeta venne effettivamente scoperto dall'astronomo statunitense Clyde William Tombaugh nei pressi della posizione prevista da Lowell. La massa del nuovo pianeta, tuttavia, apparve insufficiente per spiegare le perturbazioni dell'orbita di Nettuno, e le osservazioni continuarono nel tentativo di identificare un decimo pianeta, che comunque non venne scoperto.

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ORBITA E SATELLITE

Plutone orbita attorno al Sole a una distanza media di 5.879 milioni di km, compiendo una rivoluzione completa in 247,9 anni. Percorre una traiettoria molto eccentrica e in alcuni periodi è più vicino al Sole di Nettuno. Non esiste tuttavia rischio di collisione, dal momento che la sua orbita è inclinata di 17,2° rispetto al piano dell'eclittica e non interseca mai il cammino di Nettuno.

Visibile solo per mezzo di grandi telescopi, Plutone appare di colore giallastro. Per molti anni si è saputo poco di questo pianeta, ma nel 1978 gli astronomi scopersero che possiede un satellite relativamente grande, Caronte, situato a una distanza di solo 19.000 km circa. Le orbite di Plutone e Caronte sono tali che essi sono passati più volte l'uno di fronte all'altro tra il 1985 e il 1990, rendendo possibile una misura precisa delle loro dimensioni. Plutone ha un raggio di 1.195 km e Caronte di 596 km; si tratta in effetti di un pianeta doppio, più di quanto sia il sistema Terra-Luna. Plutone è circondato da una sottile atmosfera, probabilmente di metano, circa 100.000 volte meno densa rispetto all'atmosfera terrestre. Essa sembra condensarsi e formare delle calotte polari durante i lunghi inverni del pianeta.

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ATMOSFERA

La densità di Plutone, 1,8 g/cm³, è pressoché doppia rispetto a quella dell'acqua, e ciò fa pensare che esso sia molto più roccioso degli altri pianeti del sistema solare esterno. Potrebbe trattarsi del risultato delle reazioni chimiche avvenute durante la sua formazione e determinate da condizioni di temperatura e pressione particolari. Alcuni astronomi hanno suggerito che Plutone potrebbe essere un satellite di Nettuno, spinto su un'orbita diversa, all'inizio della storia del sistema solare, a causa di una collisione. Caronte sarebbe allora il risultato dell'accumulazione dei frammenti generati da tale collisione.

4

 

PIANETA O ASTEROIDE?

Le più recenti scoperte compiute nelle regioni remote del sistema solare hanno rivelato l’esistenza di oggetti di dimensioni di poco inferiori a quelle di Plutone. In particolare, i ricercatori del California Institute of Technology hanno avvistato nel 2002, nella fascia di Edgeworth-Kuiper, un corpo di diametro pari a circa la metà di quello di Plutone, provvisoriamente battezzato Quaoar (nella lingua degli antichi abitanti dell’area di Los Angeles, “forza della creazione”) e nel 2003, un altro corpo del diameto di circa 1750 km, chiamato Sedna. La comunità scientifica sta cercando di stabilire se sia più corretto attribuire a tali oggetti la dignità di pianeti, o piuttosto declassare Plutone da pianeta a semplice oggetto della fascia di Edgeworth-Kuiper; in questo secondo caso, Plutone dovrebbe essere considerato un asteroide o una nana di ghiaccio.

 

GLI ASTEROIDI

 

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1

 

INTRODUZIONE

Asteroidi Piccoli corpi rocciosi del sistema solare che si muovono su percorsi ellittici perlopiù tra l’orbita di Marte e quella di Giove.

2

 

ORIGINI

Alcuni scienziati ritengono che gli asteroidi siano i resti di un pianeta esploso, che in origine orbitava intorno al Sole, su una traiettoria compresa tra quella di Marte e quella di Giove; altri ritengono che debbano avere una storia diversa, vale a dire che si debbano essere formati singolarmente, giacché la presenza di Giove e l’attrazione gravitazionale da esso esercitata dovrebbe aver impedito l'aggregazione di un pianeta in quella regione celeste; forse i primi pianetini, dapprima di dimensioni maggiori, si frammentarono a causa delle mutue collisioni, fino a produrre la popolazione attuale.

3

 

DIMENSIONI E ORBITE

L’asteroide in assoluto più grande che si conosca è Cerere, che ha un diametro di circa 950 km; seguono Pallade e Vesta, di circa 550 km di diametro. In genere gli asteroidi di dimensioni maggiori hanno forma approssimativamente sferica, mentre quelli di diametro inferiore a 150 km hanno più spesso forme allungate e irregolari. La maggior parte di essi, indipendentemente dalle dimensioni, ruota attorno a un asse, con un periodo compreso tra le 5 e le 20 ore; vi sono anche pianetini doppi, cioè dotati di compagni, insieme ai quali ruotano intorno al comune centro di massa.

Un interessante sistema di asteroidi è rappresentato dai “pianetini troiani”, distribuiti in due gruppi distinti sull'orbita di Giove; uno precede il pianeta di 60° e l'altro lo segue, con la stessa angolazione. Nel 1977, in un'orbita compresa tra quella di Saturno e quella di Urano, venne scoperto Chirone; le ricerche proseguirono e, all'inizio degli anni Novanta, erano noti circa 75 asteroidi, che costituiscono la famiglia Amor, intersecanti l'orbita di Marte; circa 50 – gli Apollo – che intersecano l'orbita della Terra; e meno di 10 – gli Atene – con orbite più piccole di quella terrestre. Uno dei più grandi pianetini interni è Eros, con una lunghezza di circa 37 km. Fetonte, un asteroide caratteristico della famiglia Apollo, associato con l'annuale sciame di meteore delle Geminidi, si avvicina al Sole più di qualunque altro asteroide conosciuto, raggiungendo una distanza di soli 20,9 milioni di km.

Gli asteroidi che si avvicinano alla Terra sono obiettivi relativamente facili per le missioni spaziali; nel 1991, la sonda spaziale Galileo, in viaggio verso Giove, riprese le prime immagini ravvicinate dell'asteroide 951 Gaspra: esso apparve piccolo, irregolare e costellato di crateri, con la superficie ricoperta di un manto di materiale smosso e frammentato, noto come regolite.

4

 

COMPOSIZIONE SUPERFICIALE

Nella maggior parte dei casi, si ritiene che le meteoriti scoperte sulla Terra siano frammenti di asteroidi; questa ipotesi, avvalorata da osservazioni spettroscopiche e radar, effettuate con telescopi da Terra, rende possibile una loro classificazione in categorie distinte.

Tre quarti degli asteroidi visibili da Terra, incluso Cerere, appartengono al tipo C, che sembra essere in relazione con una classe di meteoriti rocciose conosciuta come condriti carbonacee; queste sono considerate i corpi più vecchi del sistema solare e hanno una composizione che rispecchia quella della nebulosa solare primordiale: estremamente scure, probabilmente a causa del loro contenuto di idrocarburi, esse mostrano di aver assorbito acqua di idratazione.

Gli asteroidi di tipo S, correlati con le meteoriti rocciose ricche di ferro, rappresentano circa il 15% del totale.

Molto più rari sono invece gli oggetti di tipo M, la cui composizione corrisponde a quella delle meteoriti conosciute come "ferrose"; esse consistono di una lega di ferro-nichel e potrebbero essere i nuclei di corpi planetari fusi e differenziati, i cui strati esterni furono rimossi dai frequenti impatti.

Pochissimi asteroidi, tra cui Vesta, sono probabilmente correlati con le meteoriti della classe più rara: le acondriti. Essi sembrano avere una composizione superficiale ignea come quella di molti flussi lavici lunari e terrestri, e sono probabilmente il risultato di un parziale processo di fusione. Una possibile spiegazione è che il sistema solare primordiale contenesse una notevo

 

LE COMETE

 

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1

 

INTRODUZIONE

Cometa Corpo celeste di aspetto nebuloso, appartenente al sistema solare. Le comete descrivono in genere orbite ellittiche, spesso molto allungate, e sono caratterizzate da una o più code brillanti e fluorescenti, che si formano quando esse passano in prossimità del Sole.

2

 

CENNI STORICI

Le comete furono ritenute per lungo tempo fenomeni atmosferici; nel 1577 l'astronomo danese Tycho Brahe provò invece che si tratta di corpi celesti e, nel secolo successivo, Isaac Newton dimostrò che esse sono soggette alle stesse leggi che regolano il moto dei pianeti. Confrontando gli elementi orbitali di un certo numero di comete antiche, Edmund Halley mostrò che la cometa apparsa nel 1682 era lo stesso astro osservato nel 1607 e nel 1531 e, in base a calcoli molto complessi, predisse con successo il passaggio del 1758. Le apparizioni precedenti della cometa di Halley sono oggi state identificate sulla base di antiche registrazioni che partono dal 239 a.C., ed è inoltre probabile che l'astro brillante che apparve nel 466 a.C. fosse proprio la cometa di Halley. Il suo ultimo passaggio risale all'inizio del 1986, quando essa venne avvicinata dalle due sonde sovietiche Vega 1 e Vega 2 e dalla sonda Giotto, lanciata dall'European Space Agency (ESA); venne osservata anche da due sonde giapponesi, sebbene da distanza maggiore.

3

 

COMPOSIZIONE

Le comete sono composte principalmente da un nucleo circondato da una nube fluorescente, detta chioma (in greco, infatti, comētēs significa "chiomata"). Secondo il modello proposto intorno al 1950 dall'astronomo statunitense Fred L. Whipple e oggi confermato dalle più recenti osservazioni, il nucleo contiene praticamente tutta la massa della cometa ed è formato da una quantità di sostanze volatili, come acqua, ammoniaca e anidride carbonica, che gli conferiscono l'aspetto di "una palla di neve sporca".

La maggior parte del gas che forma la chioma e la coda è invece composto da molecole frammentate, o radicali, degli elementi chimici più comuni nello spazio, quali idrogeno atomico, carbonio, azoto e ossigeno. I radicali, ad esempio CH, NH e OH, hanno origine dalla rottura delle molecole di metano (CH4), ammoniaca (NH3) e acqua (H2O), che si trovano sotto forma di ghiaccio o di composti più complessi nel nucleo della cometa. La teoria della "palla di neve sporca" è avvalorata dall'osservazione che molte delle comete conosciute percorrono orbite che deviano in modo significativo dal semplice moto newtoniano. Ciò fornisce una chiara evidenza del fatto che i gas emessi producono un effetto a jet, deviando il nucleo dal suo cammino altrimenti prevedibile. Inoltre, le comete a corto periodo, osservate per più rivoluzioni, tendono a indebolirsi lentamente con il tempo, come ci si aspetterebbe da una struttura simile a quella proposta da Whipple. Infine, l'esistenza di gruppi di comete suggerisce che i nuclei cometari siano oggetti relativamente solidi.

La testa di una cometa, formata da nucleo e chioma, può raggiungere dimensioni considerevoli, confrontabili con quelle del pianeta Giove. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, il volume della parte solida non supera i pochi chilometri cubici.

4

 

AVVICINAMENTO AL SOLE

Quando una cometa si avvicina al Sole, il calore di quest'ultimo determina la sublimazione del ghiaccio, dando luogo alla formazione di una brillante coda, che a volte si estende per milioni di chilometri. La coda è in genere diretta dalla parte opposta rispetto al Sole, anche quando la cometa è in allontanamento da quest'ultimo: infatti le particelle che la costituiscono vengono respinte per effetto del vento solare, un tenue flusso di particelle emesso di continuo e a una velocità di 400 km/s dalla corona solare. Le code delle comete, composte da molecole ionizzate per effetto degli urti con le particelle provenienti dal Sole, sono spesso curve e composte da polveri "spazzate" dalla pressione della radiazione solare.

Quando una cometa si allontana dal Sole, il gas e la polvere vengono dispersi e la coda scompare gradualmente. La diversa lunghezza della coda e la scarsa distanza dal Sole e dalla Terra rendono più o meno visibili le comete; alcune di esse, caratterizzate da un'orbita relativamente piccola, hanno code così brevi da essere praticamente inosservabili senza l'ausilio di opportuni strumenti. Delle circa 1400 comete catalogate, meno della metà è visibile a occhio nudo e meno del 10% è molto brillante.

5

 

PERIODI E ORBITE

Le comete percorrono orbite ellittiche i cui periodi, calcolati per circa duecento di questi corpi celesti, possono variare fra i 3,3 anni della cometa Encke fino ai 2000 della cometa di Donati, osservata nel 1858. Le orbite della maggior parte delle comete sono talmente ampie da sembrare parabole e così aperte da portare questi astri fuori dal sistema solare; i calcoli tuttavia suggeriscono che anche in questi casi si tratta di ellissi di grande eccentricità, con periodi fino a 40.000 o più anni.

Non sono note comete che si siano avvicinate alla Terra muovendosi lungo traiettorie iperboliche e la scoperta di un'orbita di questa forma potrebbe implicare un'origine dell'astro nelle regioni esterne al sistema solare. Alcune comete, tuttavia, passano una sola volta vicino al Sole, perché le loro orbite vengono alterate dall'attrazione gravitazionale dei pianeti. Tali alterazioni sono osservabili anche su scala più piccola: circa sessanta comete, caratterizzate da periodi variabili tra 3,3 e 9 anni, hanno orbite influenzate dal campo gravitazionale associato a Giove e sono per questo motivo classificate come famiglia di Giove.

6

 

GRUPPI DI COMETE

Le comete che hanno periodi diversi, ma percorrono orbite simili, vengono riunite in gruppi. Il più famoso di questi gruppi comprende la cometa Ikeya-Seki, che nel 1965 passò molto vicino al Sole, e altri sette astri che hanno periodi di circa mille anni. L'astronomo statunitense Brian G. Marsden ha dimostrato che la cometa del 1965 e quella ancora più brillante del 1882 si separarono da uno stesso nucleo, probabilmente apparso nel 1106. Questa cometa, e altre dello stesso gruppo, si originarono forse da un'unica cometa gigante alcune migliaia di anni fa.

7

 

IPOTESI DI PROVENIENZA

Un tempo si pensava che le comete provenissero dallo spazio interstellare. Benché tuttora non vi sia una teoria certa sulle loro origini, molti astronomi ritengono che esse si siano formate nelle regioni più fredde ed esterne del sistema solare dalla materia residua delle prime fasi di vita del nostro sistema planetario. L'astronomo olandese Jan Hendrik Oort ha ipotizzato che esista una nube di materiale cometario, che da lui ha preso nome, situata oltre l'orbita di Plutone e che gli effetti gravitazionali di stelle di passaggio possano perturbare tale nube inviando materiale solido e gassoso verso l'interno del sistema solare, dove esso si renderebbe visibile sotto forma di cometa.

8

 

COMETE E PIOGGE METEORITICHE

Esiste una stretta relazione tra le orbite delle comete e quelle delle piogge meteoritiche. L'astronomo italiano Giovanni Virginio Schiaparelli dimostrò che lo sciame meteoritico delle Perseidi, visibile in agosto, si muove sulla stessa orbita della cometa 1862 III. Analogamente lo sciame delle Leonidi, che appare in novembre, segue la stessa orbita della cometa 1866 I. Ciò suggerisce che numerosi sciami siano da associare all'insieme di detriti seminati dalle comete lungo le proprie orbite.

9

 

COLLISIONI

Le comete sono state a lungo viste dai superstiziosi come annunciatrici di calamità o di eventi memorabili. L'apparizione di una cometa, tuttavia, può far temere una possibile collisione dell'astro con la Terra; il nostro pianeta, in effetti, è passato attraverso la coda di diverse comete, ma senza riportare conseguenze significative. La caduta di un nucleo cometario su una grande città, tuttavia, provocherebbe una completa distruzione delle strutture e degli edifici, determinando gravissimi danni alla popolazione; la probabilità che un tale evento si verifichi, comunque, è effettivamente molto bassa. Alcuni scienziati ritengono che simili collisioni siano avvenute nel passato e potrebbero, ad esempio, aver giocato un ruolo determinante nell'estinzione dei dinosauri e nell'evoluzione della specie.

Nel 1992 la cometa Shoemaker-Levy 9 si frantumò in ventuno grandi frammenti a causa dell'intenso campo gravitazionale di Giove. Nel mese di luglio del 1994 questi frammenti caddero nella densa atmosfera del pianeta gigante a una velocità di circa 210.000 km/h. Negli impatti, l'enorme energia cinetica della cometa si convertì in calore, generando una serie di esplosioni, le maggiori delle quali produssero nelle nubi di Giove dei segni che rimasero visibili per varie settimane.

 

METEORE E METEORITI

 

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Meteora

Fenomeno luminoso provocato dall'ingresso di un corpo solido nell'atmosfera di un pianeta; per effetto dell'aumento di temperatura determinato dall'attrito con l'aria, il corpo (meteoroide) vaporizza rapidamente, consumandosi prima di giungere al suolo e rendendosi visibile sotto forma di scia luminosa. Le meteore brillanti, note come bolidi, sono fenomeni rari e consistono di un nucleo luminoso seguito da una scia di luce simile a una cometa che persiste per alcuni minuti; alcune esplodono accompagnate da un suono simile a un tuono. Le meteore deboli, dette stelle cadenti, sono generalmente fenomeni singoli e sporadici. Vi sono però dei periodi dell'anno in cui, nell'intervallo di pochi giorni o addirittura di poche ore, si vedono migliaia di meteore, che sembrano provenire da una stessa regione del cielo detta quadrante. Questi sciami sono detti piogge meteoritiche e prendono il nome dalla costellazione in cui si trova il quadrante. Alcuni di essi appaiono ogni anno nello stesso giorno e sono detti piogge periodiche; altri si verificano irregolarmente. I periodi delle piogge meteoritiche coincidono generalmente con quelli di alcune comete. La maggior parte dei meteoroidi si disintegrano in volo e, sulla Terra, cadono solo delle polveri; i frammenti di meteoroidi che riescono a raggiungere la superficie terrestre o di un altro pianeta sono detti meteoriti.

 

Meteorite

Frammento di meteoroide che riesce a raggiungere la superficie della Terra o di un altro pianeta senza consumarsi completamente durante l'attraversamento dell'atmosfera. Le meteoriti trovate sulla Terra vengono classificate in tre tipi, a seconda della loro composizione: sideriti, costituite quasi esclusivamente da ferro, con piccole percentuali di nichel e tracce di altri metalli come il cobalto; sideroliti, costituite da silicati e da leghe di ferro-nichel in uguali proporzioni; e aeroliti, costituite in prevalenza o esclusivamente da silicati.

Benché si pensi che la maggior parte delle meteoriti siano frammenti di asteroidi o di comete, recenti studi geochimici hanno mostrato che alcune aeroliti antartiche provengono dalla Luna e da Marte, dai quali sono state probabilmente eiettate a causa del violento impatto di qualche asteroide. Gli stessi asteroidi sono frammenti dei pianetini, formatisi circa 4,6 miliardi di anni fa, quando si formò anche la Terra. Le sideriti rappresentano probabilmente i nuclei di tali pianetini, mentre le aeroliti (a parte quelle di origine lunare e marziana) ne rappresenterebbero la crosta. Le meteoriti, in generale, mostrano una superficie irregolare e una crosta scura e fusa; quelle più grandi colpiscono la Terra con impatti tremendi, creando ampi crateri.

La più grande meteorite conosciuta, pesante circa 55 tonnellate, è stata rinvenuta a Hoba, in Namibia. Un'altra meteorite, pesante oltre 31 tonnellate, è detta Ahnighito ("Tenda") e fu scoperta, insieme a due corpi più piccoli, nel 1894 nei pressi di Cape York, in Groenlandia, dall'esploratore statunitense Robert Edwin Peary. Composte principalmente di ferro, esse sono state usate per lungo tempo dagli inuit come fonte di metallo per la fabbricazione di coltelli e di altre armi. La meteorite più grande è attualmente in mostra presso il Planetario Hayden di New York. Il più grande cratere meteoritico conosciuto venne scoperto nel 1950 nel Québec nordoccidentale. Si tratta di una buca di 70 km di diametro, contenente un lago e circondata da cumuli concentrici di granito frantumato. Altri rilevanti crateri meteoritici si trovano nei pressi di Vredefort, in Sudafrica, e in Messico, al largo delle coste della penisola dello Yucatán.

Recenti studi hanno stabilito quale sia la frequenza media degli impatti delle meteoriti con l’atmosfera e la superficie terrestre. Le ricerche si sono focalizzate in particolare sulle meteoriti di dimensioni medie, comprese tra il metro di diametro massimo degli oggetti responsabili delle stelle cadenti e le decine di metri dei corpi più grandi e spettacolari: è stato così stabilito che, ad esempio, l’impatto con una meteorite di 50 m di diametro avviene sulla Terra con una frequenza assai minore del previsto, pari a circa una volta ogni mille anni.

 

LE STELLE

 

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1

 

INTRODUZIONE

Stella Corpo celeste costituito da gas ad altissima temperatura, che emette radiazione elettromagnetica prodotta nelle reazioni nucleari sostenute al suo interno. Le stelle si formano per contrazione gravitazionale di giganteschi addensamenti di materia interstellare; sono costituite per la maggior parte da idrogeno, che a poco a poco si trasforma in elio e, successivamente, in elementi più pesanti. Le reazioni di fusione nucleare che rendono possibile questa trasformazione hanno luogo nel nucleo della stella, dove sono presenti le condizioni di temperatura e di pressione necessarie per innescarle e sostenerle.

2

 

CARATTERISTICHE PRINCIPALI

La composizione chimica è pressoché uguale per tutte le stelle; i parametri che permettono di distinguere un astro dall’altro sono invece la temperatura, il colore, la luminosità, la durata. In realtà, tutte queste caratteristiche dipendono dalla massa della stella: è questa a determinare l’intensità dell’attrazione gravitazionale che addensa la materia nella fase iniziale, e quindi il calore sviluppato nel processo, la temperatura di equilibrio e la quantità di reagenti disponibili per la fusione nucleare. La massa viene generalmente espressa come multiplo o sottomultiplo della massa del Sole, che è una stella di proporzioni intermedie. Le stelle più grandi – le cosiddette giganti e supergiganti – hanno massa fino a 20 volte quella solare; le più piccole – le nane bianche – fino a un decimo dello stesso valore.

Esiste un limite inferiore alla massa di una stella: il minimo richiesto perché in fase di contrazione gravitazionale sia raggiunta la temperatura necessaria all’innesco delle reazioni nucleari. Tale limite si aggira appunto intorno a 1/10 della massa del Sole. Al di sotto di questo valore, il corpo celeste non è una stella, ma una nana bruna.

2.1

 

Moti

Le stelle, che sembrano fisse sulla volta celeste, in realtà si muovono rispetto alla Terra. Le distanze in gioco, tuttavia, sono talmente grandi da rendere impercettibili le variazioni di posizione senza l’ausilio di potentissimi strumenti d'osservazione. Fu Edmund Halley il primo a rilevare i moti delle stelle, accorgendosi di una differenza nelle posizioni misurate rispetto a quelle riportate sul catalogo di Ipparco, di quasi 2000 anni prima.

Oggi si misura la velocità di una stella come somma di una componente radiale e di una trasversale; quella radiale viene valutata in base all’effetto Doppler rilevato sullo spettro di emissione, quella trasversale dall’osservazione del moto proprio della stella sulla volta celeste; la prima risulta in genere dell’ordine di qualche chilometro al secondo; la seconda di pochi secondi d’arco all’anno.

2.2

 

Raggruppamenti

Più della metà delle stelle del cielo sono membri di sistemi binari o multipli, composti da due o più corpi orbitanti intorno a un centro di massa comune. In alcuni casi le singole componenti di un sistema binario non si riescono a distinguere neppure con l’ausilio di un telescopio; in questi casi, sono identificabili come tali solo per mezzo della spettroscopia, e prendono per questo il nome di binarie spettroscopiche.

Le stelle, inoltre, possono trovarsi raggruppate in ammassi, costituiti da astri originati dalla stessa nebulosa, o in più ampie “associazioni”. Su scala maggiore, sono riunite in giganteschi sistemi detti galassie, composti da miliardi di elementi ciascuna. Le costellazioni, che fin dall’antichità sono state ideate dall’uomo per meglio identificare gli astri sulla volta celeste, non costituiscono raggruppamenti fisicamente significativi: per quanto appaiano vicine nel cielo, infatti, le componenti di una stessa costellazione possono non avere alcuna relazione l’una con l’altra.

2.3

 

Le stelle viste da Terra

Dalla Terra sono teoricamente visibili a occhio nudo circa 7000 stelle, equamente suddivise tra i due emisferi celesti; tuttavia, a causa dell'assorbimento atmosferico, se ne vedono normalmente circa 2000. Si calcola che la Via Lattea – la galassia a cui appartiene il sistema solare – contenga circa cento miliardi di stelle. Se si esclude il Sole, la stella più vicina alla Terra è Proxima Centauri, una componente del sistema triplo di Alpha Centauri, situata a circa 40.000 miliardi di km dalla Terra, cioè a una distanza di 4,29 anni luce.

3

 

CLASSIFICAZIONE DELLE STELLE

Il principale criterio di classificazione delle stelle si basa sull’analisi degli spettri. Questi, che registrano le radiazioni elettromagnetiche emesse dagli astri, sono continui, con righe di assorbimento sovrapposte. La presenza delle righe di assorbimento si deve al fatto che la radiazione, allontanandosi dal nucleo dove viene prodotta, attraversa gli involucri più esterni della stella, subendo un assorbimento selettivo da parte degli atomi presenti. Nel 1885 l'astronomo Edward Charles Pickering iniziò uno studio fotografico sistematico degli spettri stellari, permettendo un’importante scoperta: essi possono essere ordinati in una sequenza continua sulla base dell'intensità relativa delle linee di assorbimento. Le variazioni osservate nella sequenza forniscono indizi sull'età delle stelle e sul loro stadio di evoluzione.

Le diverse classi della sequenza spettrale sono indicate con le lettere O, B, A, F, G, K, ed M; si distinguono in primo luogo per la differente intensità delle righe dell'idrogeno, ma anche per la presenza o meno delle righe di altri elementi. A seconda del tipo di spettro, ogni stella viene contrassegnata con l’indice della classe spettrale corrispondente. Un indice numerico compreso tra 0 e 9 permette di distinguere piccole differenze all’interno di una stessa classe.

3.1

 

Classe O

Comprende stelle il cui spettro contiene essenzialmente le righe dell'elio, dell'ossigeno e dell'azoto (oltre che dell'idrogeno). Tali stelle, le più calde in assoluto, appaiono di colore blu e vantano temperature superficiali di 20.000-40.000 K.

3.2

 

Classe B

In questo gruppo le righe dell'elio raggiungono la massima intensità nel tipo B2 e si indeboliscono progressivamente nei tipi successivi. L'intensità delle righe dell'idrogeno aumenta progressivamente con il procedere dei tipi. Appartengono a questa classe stelle di colore bianco-azzurro e di temperatura superficiale pari a circa 15.000 K. Una stella celebre di classe B è Epsilon Orionis, la stella centrale della “cintura” di Orione.

3.3

 

Classe A

Comprende le cosiddette stelle a idrogeno, il cui spettro è dominato dalle righe di assorbimento di questo elemento. Tali stelle appaiono di colore bianco e hanno temperature di circa 9000 K. Un esponente tipico del gruppo è Sirio, l’astro più luminoso della volta celeste.

3.4

 

Classe F

Comprende stelle nelle quali sono particolarmente intense le righe H e K del calcio e le linee caratteristiche dell'idrogeno. Il loro colore è bianco-giallo e la temperatura superficiale circa 7000 K. Appartiene al gruppo la stella Delta Aquilae.

3.5

 

Classe G

Comprende stelle con righe H e K del calcio molto evidenti e linee dell'idrogeno meno intense; sono presenti nello spettro anche le righe di alcuni metalli, e in particolare del ferro. Per queste stelle la temperatura superficiale si aggira intorno ai 5500 K e il colore è giallo. Poiché il Sole appartiene a questo gruppo, le stelle di classe G sono spesso dette stelle di tipo solare.

3.6

 

Classe K

Comprende stelle con intense righe del calcio e di altri metalli e luce violetta meno intensa che nelle classi precedenti. La temperatura superficiale tipica di questa classe è di circa 4000 K, il colore è giallo-arancione. Il gruppo è ben rappresentato dalla stella Arturo, della costellazione di Boote.

3.7

 

Classe M

Gli spettri di questa classe sono dominati da bande dovute alla presenza di molecole di ossidi di metalli, in particolare dell'ossido di titanio. L'estremo violetto dello spettro è meno intenso di quello delle stelle K. Appartengono a questa classe stelle di colore rosso e temperatura superficiale relativamente bassa, pari a circa 3000 K. La stella Betelgeuse, o Alpha Orionis, è un esempio tipico di questo gruppo.

4

 

EVOLUZIONE STELLARE

Una stella nasce da una nube di gas e polveri relativamente fredda, con densità migliaia di volte maggiore di quella della circostante materia interstellare. La contrazione gravitazionale di questo gas produce un progressivo aumento della temperatura che porta alla formazione di una protostella, un astro giovane, sorgente di radiazioni elettromagnetiche nella banda dell'infrarosso. Via via che il processo di contrazione gravitazionale prosegue, la temperatura aumenta; quando all’interno dell’astro vengono raggiunti i 10 milioni di gradi, si innescano le reazioni nucleari che trasformano l'idrogeno e il deuterio in elio, con conseguente emissione di una grande quantità di energia nucleare. L’energia radiativa prodotta da queste reazioni bilancia la spinta centripeta dell’attrazione gravitazionale, per cui la contrazione si arresta e la stella entra in una fase di stabilità.

4.1

 

Da protostella a stella

Nel diagramma di Hertzsprung-Russell (il grafico che rappresenta le stelle conosciute in funzione della loro temperatura e luminosità) è possibile seguire idealmente le principali tappe dell’evoluzione stellare. Le prime fasi appena descritte sono rappresentate dai punti situati nelle zone in alto a destra e sulla fascia diagonale del diagramma (la sequenza principale). In sostanza la protostella, ancora relativamente fredda e piuttosto grande, trova collocazione nella parte alta a destra del diagramma, quella relativa alle basse temperature e agli alti valori di luminosità; via via che l’evoluzione procede, la posizione dell’astro si sposta idealmente nella fascia centrale, fino a occupare, una volta raggiunto l’equilibrio, una posizione fissa della sequenza principale. Qui la stella trascorre la maggior parte della sua vita, bruciando l’idrogeno di cui è costituita per alimentare le reazioni di fusione che avvengono nel suo nucleo.

4.2

 

Fase di gigante rossa

Quando l'idrogeno comincia a scarseggiare nella regione centrale della stella, il rilascio di energia si riduce, tanto da non bilanciare più la spinta centripeta dell’attrazione gravitazionale. Riprendono quindi la contrazione e il conseguente aumento della temperatura. Il calore sviluppato nella contrazione si trasmette all’involucro più esterno della stella, dove vi è dell’idrogeno residuo: si innescano così altre reazioni nucleari che, con questo meccanismo, interessano via via tutto il volume della stella, dagli strati più interni a quelli più esterni. In questa fase le dimensioni sono di gran lunga maggiori che negli stadi precedenti, e tali da giustificare la denominazione di “gigante rossa”. Una stella in questa fase può essere interessata da fluttuazioni di volume e di luminosità, dovute al discontinuo bilanciamento tra le due forze contrapposte di contrazione ed espansione; nel caso si verifichino, tali fluttuazioni fanno della gigante rossa una stella variabile.

Mentre gli strati esterni della gigante rossa si espandono, il nucleo si contrae progressivamente, raggiungendo temperature elevatissime, dell’ordine dei 100 milioni di gradi kelvin. Tali temperature garantiscono la possibilità che si inneschino le reazioni di fusione dell’elio in carbonio. Se poi la stella ha una massa superiore a quella del Sole, con questo meccanismo di contrazione del nucleo si possono raggiungere temperature ancora più elevate, che consentono la sintesi di elementi chimici sempre più pesanti, fino al ferro.

4.3

 

Fase conclusiva

Una volta esaurito tutto il combustibile a disposizione non è più possibile l’equilibrio: non vi è più, infatti, alcuna spinta radiativa in grado di bilanciare quella contraria di attrazione gravitazionale. La stella va così incontro a un’inesorabile contrazione, riducendosi a un corpo piccolo, freddo e denso. Le caratteristiche specifiche di questo oggetto dipendono sostanzialmente dalla massa iniziale della stella. Un astro delle dimensioni del Sole è destinato a diventare una nana bianca, un corpo molto denso, che irradia nello spazio l’energia sviluppata nella contrazione, ma che non è in grado di sostenere alcuna reazione nucleare a causa dell’assenza di combustibile. Con il tempo la nana bianca si raffredda completamente e muore, diventando una nana nera.

Per una stella con massa iniziale anche solo una volta e mezza quella del Sole, il destino è diverso: prima di contrarsi e di diventare nana bianca, ancora durante lo stadio di gigante rossa, espelle nello spazio grandi quantità di materia, che vanno a costituire una nube ad anello intorno al nucleo stellare, chiamata nebulosa planetaria. Nel caso poi che la massa iniziale fosse ancora maggiore (oltre tre volte quella del Sole), l’espulsione di questa porzione di materia avviene in modo esplosivo, sotto forma di un evento di nova o supernova.

In generale, le stelle con massa molto maggiore di quella solare evolvono rapidamente, giungendo allo stadio di supernova in pochi milioni di anni. Il residuo di tali stelle è, a seconda dei casi, una stella di neutroni o un buco nero. Stelle medie come il Sole hanno, invece, vite di molti miliardi di anni.

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CATALOGHI STELLARI

A eccezione delle stelle visibili a occhio nudo, che hanno nomi propri, tutti gli astri sono identificati con numeri che si riferiscono ad atlanti e cataloghi stellari pubblicati dagli osservatori astronomici. Il primo di tali cataloghi, l'Almagesto, venne compilato dall'astronomo Tolomeo, con il nome e la posizione di 1028 stelle. Nel XVIII secolo l'astronomo britannico John Flamsteed pubblicò una raccolta di carte del cielo nella quale era specificata la posizione di circa 3000 stelle, classificate secondo le costellazioni di appartenenza e individuate da un numero. Il primo catalogo stellare moderno, pubblicato nel 1862 dall'osservatorio di Bonn, in Germania, conteneva le posizioni di oltre 300.000 astri.

Oggi i cataloghi stellari non sono libri, ma raccolte di lastre fotografiche riprese con telescopi a grande campo. La prima di queste importanti rassegne stellari venne completata alla metà degli anni Cinquanta, utilizzando il telescopio Schmidt da 1,22 m dell'osservatorio di monte Palomar. Ogni lastra copre una regione di cielo ampia 6° per 6°, cosicché 1035 carte sono sufficienti a ricoprire tutto il cielo visibile da monte Palomar. Un’analoga raccolta di carte celesti per il cielo meridionale venne realizzata utilizzando i telescopi Schmidt situati in Australia e in Cile.

 

NEBULOSE E AMMASSI STELLARI

 

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Nebulose e ammassi stellari   |   La Via Lattea   |   Le galassie

 

Nebulosa Massa di gas e di particelle di polvere situata nello spazio interstellare. Prima dell'invenzione del telescopio, il termine nebula (in latino "nube") era utilizzato per tutti gli oggetti celesti di aspetto diffuso e includeva quindi ammassi stellari e galassie.

Esistono nebulose sia nella Via Lattea sia nelle altre galassie. Sono divise in nebulose planetarie, resti di supernova e nebulose diffuse e ciascuna di queste classi comprende nebulose a riflessione, a emissione e oscure. All'interno di alcune dense nubi interstellari si trovano inoltre nebulose molto brillanti, note come oggetti di Herbig-Haro, che sono probabilmente il prodotto di getti di gas emessi da stelle giovani durante il processo di formazione.

Le nebulose planetarie, cosiddette perché osservate al telescopio ricordano vagamente la forma dei pianeti, sono in realtà i "gusci" di materia che una stella vecchia di media massa rilascia durante la fase evolutiva di gigante rossa, prima di trasformarsi in nana bianca. L'oggetto ad anello nella costellazione della Lira è un tipico esempio di nebulosa planetaria; ha periodo di rotazione di 132.900 anni e massa pari a circa 14 volte quella della Terra. Nella Via Lattea sono state scoperte alcune migliaia di nebulose planetarie. Ancora più spettacolari, ma meno frequenti, sono le nebulose che si producono dopo un'esplosione di supernova; la più famosa di queste è forse quella del Granchio nella costellazione del Toro, che si sta indebolendo con un tasso annuale dello 0,4% circa. Le nebulose di questo tipo sono intense sorgenti di onde radio, come residuo dell'esplosione che le ha generate.

Le nebulose diffuse sono molto grandi, con dimensioni di vari anni luce, senza confini definiti e con una forma che ricorda quella di una nuvola. Possono essere luminose o oscure; tra le prime vi è uno degli oggetti più famosi del cielo, la grande nebulosa di Orione. Sono note migliaia di nebulose brillanti, attentamente studiate per mezzo di tecniche di analisi spettrale. Le ricerche mostrano che esse possono brillare secondo due meccanismi: o perché riflettono la luce delle stelle in esse contenute (nelle nebulose cosiddette a riflessione), oppure, nelle nebulose a emissione, perché emettono radiazione proveniente dal gas e dalle polveri ionizzati presenti all'interno della nebulosa stessa.

Le nebulose oscure sono completamente nere o poco luminose e nascondono del tutto le regioni di cielo retrostanti; sono troppo distanti da qualunque stella per riflettere o emettere luce in grande quantità. Una delle più famose nebulose oscure è la Testa di Cavallo nella costellazione di Orione, così chiamata perché la materia oscura sembra rappresentare il capo di un cavallo, che si staglia davanti a una nube luminosa. La lunga striscia scura che si osserva sulle lastre fotografiche della Via Lattea è una successione di nebulose oscure. Si pensa che sia le nebulose brillanti sia quelle oscure siano luoghi in cui, per condensazone del gas, si formano nuove stelle.

Ammassi stellari

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INTRODUZIONE

Ammasso stellare Ampio raggruppamento di stelle distribuite entro una regione limitata dello spazio, originatesi a partire da un'unica nebulosa. Gli addensamenti di gas e polveri di una nebulosa si contraggono per effetto della forza di gravitazione, sviluppando calore e creando in tal modo le condizioni necessarie per l'innesco delle reazioni di fusione nucleare che hanno luogo nelle stelle. La nebulosa di Orione, nell'omonima costellazione, è una di queste regioni attive del cosmo in cui è in corso la formazione di stelle; al suo interno, nella zona centrale, è concentrato un gruppo di stelle giovani denominato Trapezio. Nel complesso la nebulosa contiene gas in quantità sufficiente a formare ancora centinaia di stelle come quelle del Trapezio.

A seconda del loro aspetto e della loro natura fisica, gli ammassi vengono distinti in ammassi aperti, che non hanno una forma definita, e ammassi globulari, che presentano una forma pressoché sferica. I primi contengono tutt'al più qualche centinaio di stelle relativamente giovani, i secondi ne contengono fino a un milione, spesso molto vecchie.

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AMMASSI APERTI

Si conoscono circa 2000 ammassi aperti nella Via Lattea, tutti distribuiti sul suo piano galattico. Contengono stelle relativamente giovani, reciprocamente attratte da una debole forza gravitazionale. I più noti sono le Pleiadi e le Iadi, entrambi visibili a occhio nudo, nella costellazione del Toro. L'ammasso delle Iadi si trova a una distanza di 150 anni luce dal sistema solare e ha un diametro apparente di 5 gradi, vale a dire 10 volte le dimensioni apparenti della Luna; il suo diametro reale è pari a circa 15 anni luce. L'ammasso delle Pleiadi (chiamate popolarmente le Sette Sorelle) ha un diametro reale dello stesso ordine di grandezza di quello delle Iadi, ma, dal momento che si trova a oltre 400 anni luce di distanza dal sistema solare, appare più piccolo a un osservatore terrestre, e cioè di un diametro apparente inferiore ai 2 gradi. Si stima che le Iadi abbiano un'età di circa 660 milioni di anni. L'ammasso delle Pleiadi è invece molto più giovane, essendosi formato negli ultimi 80 milioni di anni; le stelle più calde e luminose delle Pleiadi non hanno più di qualche milione di anni.

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AMMASSI GLOBULARI

Gli ammassi globulari, distribuiti in modo uniforme su un'ideale superficie sferica intorno alla Via Lattea, contengono un numero di stelle molto superiore rispetto agli ammassi aperti: ad esempio, il più luminoso dell'emisfero boreale, denominato M13, visibile nella costellazione di Ercole, ne comprende circa mezzo milione. Rispetto alle stelle che costituiscono gli ammassi aperti, quelle che costituiscono gli ammassi globulari sono attratte da una forza gravitazionale più intensa, e dunque assumono configurazioni più regolari e compatte, pressoché sferiche; sono inoltre più antiche, e quindi più ricche di elementi metallici.

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ASSOCIAZIONI

Concentrazioni meno dense degli ammassi aperti vengono definite associazioni stellari. Queste contengono un numero di stelle paragonabile a quello degli ammassi, ma distribuite entro uno spazio molto più ampio. Spesso gli ammassi aperti si trovano all'interno di associazioni, in corrispondenza dei punti di massima densità della nebulosa originaria. Esistono tre tipi di associazioni: le associazioni OB, che contengono stelle molto calde e massive, dei tipi stellari O e B (tale definizione discende dalla classificazione degli spettri stellari); le associazioni R, che contengono stelle di massa intermedia, la cui luce viene riflessa dalla polvere cosmica circostante; e le associazioni T, che contengono giovani stelle di piccola massa, simili al Sole, il cui "prototipo" è T Tauri. È probabile che tutte le stelle inizino il proprio ciclo vitale in associazioni o in ammassi, per poi sfuggirne successivamente.

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AMMASSI IN MOVIMENTO

Le stelle appartenenti a un ammasso si muovono nel cosmo in modo coerente. Questo giustifica un metodo molto efficiente per la determinazione delle loro distanze dalla Terra. Se un ammasso si allontana dal punto di vista di un osservatore terrestre sembra convergere, per effetto della prospettiva, verso un punto distante, detto punto di convergenza. Misurando la velocità delle stelle lungo la linea di osservazione (velocità radiale) attraverso la valutazione dell'effetto Doppler, gli astronomi sono in grado di calcolare la distanza degli ammassi attraverso l'applicazione di metodi geometrici.

 

LA VIA LATTEA

 

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INTRODUZIONE

Via Lattea Nome della grande galassia che contiene il Sole e tutto il sistema solare. Il nome deriva, per estensione, da quello della debole striscia luminosa di aspetto lattiginoso che è visibile nel cielo durante le ore notturne; il chiarore diffuso di questa fascia è prodotto dall’insieme di innumerevoli stelle troppo lontane per essere distinte singolarmente a occhio nudo. Tutti gli astri che vediamo in cielo, fatta eccezione per alcune galassie – che per la grande distanza ci appaiono come singoli corpi celesti – appartengono alla Via Lattea.

Alle nostre latitudini il momento migliore per osservare la Via Lattea è durante le notti estive limpide e senza luna, quando appare come una banda luminosa e irregolare che attraversa il cielo da nord-est a sud-ovest, estendendosi tra le costellazioni di Perseo, Cassiopea e Cefeo. Nella regione della Croce del Nord, nella costellazione del Cigno, essa si divide in due parti. La parte occidentale è particolarmente luminosa proprio nella regione della Croce del Nord, si indebolisce verso Ofiuco (il Serpentario) per la presenza di dense nubi di polvere, e riappare nello Scorpione. La parte orientale, invece, è più brillante a sud dello Scudo e del Sagittario. Il centro galattico è nella direzione del Sagittario a una distanza di circa 26.000 anni luce dal Sole.

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STRUTTURA

La Via Lattea è una grande galassia a spirale del diametro di 100.000 anni luce. Contiene almeno 200 miliardi di stelle e relativi pianeti, e ha una massa compresa tra 750 e 1000 miliardi di masse stellari. I suoi bracci si avvolgono attorno a un rigonfiamento centrale di forma discoidale, spesso circa 10.000 anni luce. I bracci più interni, stellari, sono probabilmente quattro; il braccio più esterno, individuato soltanto nel 2003, è gassoso, spesso 6500 anni luce e distante circa 60.000 anni luce dal centro della galassia. Alcuni astronomi ritengono che la Via Lattea sia più precisamente una galassia a spirale barrata, o che abbia una struttura intermedia tra quella di una spirale semplice e quella di una spirale barrata.

Le stelle sono più vicine le une alle altre nel centro che nei bracci, dove si trovano nubi di gas e polveri interstellari. Il disco galattico è circondato da una grande nube di idrogeno, curva e frastagliata ai bordi, che a sua volta è attorniata da un alone sferico contenente ammassi globulari; questo alone sembra essere di dimensioni doppie del disco stesso. Gli studi sui movimenti delle stelle nella Via Lattea indicano che la sua massa complessiva – compresa tra 750 e 1000 miliardi di masse solari – è sensibilmente maggiore di quella valutabile in base alla materia visibile. Gli astronomi ritengono perciò che la Via Lattea sia circondata da un'enorme regione contenente materia oscura.

La Via Lattea appartiene al Gruppo Locale, un raggruppamento di una trentina di galassie tenute insieme dalla forza gravitazionale, di cui fanno parte anche le nubi di Magellano e la galassia di Andromeda. Del Gruppo Locale la Via Lattea rappresenta l’elemento più massivo e il secondo per dimensioni.

Le più recenti rilevazioni effettuate dall’osservatorio a raggi X Chandra sembrano confermare l’ipotesi che al centro della Via Lattea si trovi un grosso buco nero, un oggetto estremamente denso di massa pari a circa tre milioni di volte la massa del Sole.

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TIPI DI STELLE

La Via Lattea contiene stelle azzurre molto brillanti, dette di Popolazione I, e giganti rosse di Popolazione II. La regione centrale è composta da stelle di quest'ultima categoria, anche se è in gran parte invisibile perché nascosta da nubi di polveri che impediscono l'osservazione diretta. Per penetrare lo strato di nubi sono necessarie osservazioni radio e in infrarosso.

Il centro galattico è circondato da una regione discoidale contenente stelle di Popolazione I e II; le più brillanti della prima categoria sono supergiganti azzurre molto luminose. Sul piano del disco si avvolgono i bracci della galassia, che emergono da lati opposti della regione centrale e contengono soprattutto stelle di Popolazione I, oltre che grandi quantità di gas e polveri interstellari. Uno dei bracci, che comprende la grande nebulosa di Orione, passa nelle vicinanze del Sole.

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ROTAZIONE

La Via Lattea ruota attorno a un asse che passa per i poli galattici. Immaginando di osservare dal polo nord galattico, la rotazione avviene in senso orario e trascina i bracci a spirale. Il periodo di rotazione aumenta con la distanza dal centro della galassia; nei pressi del sistema solare esso è di oltre 200 milioni di anni. La velocità del sistema solare dovuta a questo moto è di circa 270 km/s.

 

LE GALASSIE

 

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INTRODUZIONE

Galassia Agglomerato di centinaia di miliardi di stelle, gas e polveri, legati tra loro da forze di natura gravitazionale e orbitanti intorno a un centro comune. Tutti gli astri visibili a occhio nudo dalla superficie terrestre, come il Sole, appartengono alla nostra galassia: la Via Lattea.

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PRIMI STUDI

Si ritiene che sia stato l'astronomo persiano Al-Sufi a descrivere per la prima volta la debole macchia di luce nella costellazione di Andromeda, che oggi è identificata come una galassia compagna della nostra. Nel 1780 l'astronomo francese Charles Messier pubblicò una lista di oggetti non stellari che comprendeva anche 32 galassie. Esse sono tuttora individuate dall'iniziale dell'astronomo (M) seguita da un numero di identificazione; la galassia di Andromeda, ad esempio, è indicata dagli astronomi con la sigla M31.

Migliaia di galassie furono poi identificate e catalogate da Wilhelm e Caroline Herschel e da John Herschel, all'inizio del XIX secolo. A partire dal 1900 inoltre, lo sviluppo di metodi fotografici sempre più sofisticati ha permesso di scoprire moltissime galassie a enormi distanze dalla Terra; esse appaiono così deboli sulle fotografie che possono essere distinte a fatica dalle stelle.

Nel 1912 l'astronomo statunitense Vesto M. Slipher, analizzando i dati raccolti presso l'osservatorio Lowell in Arizona, mise in evidenza lo spostamento verso il rosso delle righe spettrali di tutte le galassie. Questo fenomeno, tanto più intenso quanto maggiore è la distanza della galassia, venne interpretato da Edwin Hubble come la prova di un moto di allontanamento relativo di tutte le galassie e quindi come una conferma dell'ipotesi secondo cui l'universo è in espansione. Ancora non è chiaro se tale espansione sia destinata a proseguire per sempre; un'ipotesi è che la forza di interazione gravitazionale tra le galassie sia sufficiente ad arrestare il processo ed eventualmente a determinare un progressivo avvicinamento di questi enormi agglomerati stellari. Vedi Cosmologia.

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CLASSIFICAZIONE DELLE GALASSIE

La maggior parte delle galassie appare, a causa della distanza dalla Terra, come una nube debolmente luminosa e solo nelle fotografie degli ammassi più vicini è possibile distinguere le singole stelle. Le osservazioni al telescopio permettono di determinare, seppure in modo approssimativo, la forma delle galassie e quindi di organizzare su questa base una prima classificazione.

Le galassie ellittiche hanno una generica forma globulare, con un nucleo brillante; esse contengono una popolazione di stelle vecchie, hanno un piccolo quantitativo di gas e polveri visibili e un numero relativamente basso di stelle giovani.

Le galassie a spirale invece sono formate da un disco appiattito che contiene poche stelle vecchie, una vasta popolazione di stelle giovani, abbondanti quantità di gas e polveri, e grandi nubi molecolari che sono luogo di formazione stellare. Solitamente le regioni che contengono le stelle giovani si avvolgono attorno alla galassia, mentre un alone di stelle vecchie e deboli circonda il disco; spesso inoltre esiste anche un nucleo più piccolo, che emette due getti di materia ad alta energia in direzioni opposte.

Alcune galassie a disco, che non mostrano una forma a spirale, sono classificate come irregolari; anch'esse contengono una grande quantità di gas, polveri e stelle giovani. Sono spesso localizzate vicino a galassie più grandi e il loro aspetto è probabilmente il risultato dell'interazione gravitazionale con galassie di grosse dimensioni. Alcune galassie peculiari si trovano in gruppi ravvicinati di due o tre agglomerati e le loro reciproche interazioni mareali hanno provocato la deformazione dei bracci a spirale, producendo dischi distorti e lunghi getti di materia.

Le quasar sono oggetti di aspetto stellare o quasi stellare, caratterizzati da notevoli spostamenti verso il rosso e pertanto a grandissima distanza dalla Terra. Oggi la maggior parte degli astronomi ritiene che questi corpi celesti siano galassie attive i cui nuclei contengono enormi buchi neri. Essi sono probabilmente in stretta relazione con le radiogalassie e con gli oggetti BL Lacertae.

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DETERMINAZIONE DELLE DISTANZE EXTRAGALATTICHE

La semplice osservazione telescopica non permette di distinguere una galassia gigante lontana da una di dimensioni minori e vicina alla Terra. Di conseguenza, per stimare la distanza di una galassia gli astronomi confrontano la luminosità o le dimensioni degli oggetti che essa contiene con quelle di analoghi oggetti appartenenti alla Via Lattea. A questo scopo fanno riferimento alle osservazioni di supernovae, che sono stelle estremamente brillanti, di ammassi stellari e di nubi di gas. Le variabili Cefeidi, la cui luminosità muta periodicamente, sono particolarmente preziose da questo punto di vista, poiché il loro periodo di pulsazione è correlato con la luminosità intrinseca. Misurando il periodo è possibile quindi risalire alla luminosità intrinseca, e dal confronto di questa con quella apparente è possibile determinarne la distanza.

Recentemente, inoltre, gli astronomi hanno messo in evidenza che la velocità di rivoluzione delle stelle attorno al centro delle galassie dipende dalla luminosità intrinseca e dalla massa di queste ultime; in particolare le galassie che ruotano rapidamente sono estremamente luminose; al contrario quelle che ruotano lentamente sono intrinsecamente deboli. Le velocità orbitali delle stelle in una galassia sono relativamente facili da misurare e così è possibile ricavare la luminosità intrinseca della galassia e quindi la corrispondente distanza.

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DISTRIBUZIONE DELLE GALASSIE

Le galassie in genere non sono isolate nello spazio ma formano gruppi più o meno numerosi che a loro volta formano grandi ammassi. La nostra fa parte di un gruppo di circa trenta galassie che gli astronomi chiamano Gruppo Locale. La Via Lattea e la galassia di Andromeda sono le due più grandi del Gruppo, ciascuna con cento o duecento miliardi di stelle. La Piccola e la Grande Nube di Magellano, galassie satelliti della Via Lattea, sono piccole e deboli, e contengono ciascuna solo circa cento milioni di stelle.

Il Gruppo Locale è un membro periferico dell'ammasso più vicino, quello della Vergine, che contiene migliaia di galassie di vari tipi, tutte caratterizzate da un moto nella stessa direzione. Tale moto potrebbe essere determinato forse da un superammasso invisibile dalla nostra posizione, anche se gli studi teorici suggeriscono che la causa sia una stringa cosmica, cioè uno strappo monodimensionale nel tessuto dello spazio-tempo.

Nel complesso la distribuzione degli ammassi e dei superammassi nell'universo non è uniforme. Superammassi di decine di migliaia di galassie si allungano in sottili strisce che si avvolgono su grandi spazi vuoti. La Grande Muraglia, una striscia di galassie scoperta nel 1989, si estende per oltre un miliardo di anni luce nello spazio. I cosmologi ritengono che la materia oscura, un ipotetico materiale che non irraggia né riflette la radiazione elettromagnetica, possa esistere in quantità sufficiente da produrre i campi gravitazionali responsabili della struttura non omogenea dell'universo.

Le galassie più distanti, ai limiti dell'universo osservabile, sono deboli oggetti blu. Immagini di tali oggetti si ottengono puntando un telescopio in regioni apparentemente vuote del cielo e usando opportuni rivelatori a stato solido detti CCD (Charge Coupled Device, cioè dispositivi ad accoppiamento di carica) per raccogliere la debole luce che essi emettono, e poi elaborando le immagini con metodi numerici. Si riescono a osservare galassie che si allontanano dalla Terra a circa l'88% della velocità della luce, e che si sono formate circa due miliardi di anni dopo l'origine dell'universo.

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ROTAZIONE DELLE GALASSIE A SPIRALE

Le stelle e le nubi di gas orbitano intorno al centro delle galassie a cui appartengono, con periodi di rivoluzione dell'ordine di centinaia di milioni di anni. Dallo studio della posizione delle linee spettrali delle galassie, è stato possibile dedurre che in quelle a spirale le stelle si muovono su orbite circolari, con velocità tanto più grandi quanto maggiore è la distanza dal centro della galassia. Sul bordo dei dischi galattici, a distanza di 150.000 anni luce dal centro, sono state misurate velocità di 300 km/s.

Un simile comportamento è quindi totalmente diverso da quello dei pianeti del sistema solare, la cui velocità orbitale diminuisce all'aumentare della distanza dal Sole. Ciò suggerisce che la massa di una galassia non sia concentrata nel punto centrale come nel caso del sistema solare, ma al contrario che una percentuale significativa di essa, caratterizzata da luminosità estremamente bassa e quindi rilevabile solo in relazione agli effetti gravitazionali, sia localizzata a grande distanza dal centro. Studi sulla velocità delle stelle situate nella periferia delle galassie hanno rafforzato l'ipotesi che la maggior parte della massa presente nell'universo esista sotto forma di materia oscura.

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RADIAZIONE EMESSA DA UNA GALASSIA

Le galassie sono sorgenti di vari tipi di radiazione elettromagnetica: oltre alla radiazione visibile, anche radiazione X, gamma, radio, infrarossa. Dallo studio della radiazione proveniente da una galassia è possibile risalire a diverse sue caratteristiche fisiche. La forma delle galassie, in genere, viene determinata sulla base di osservazioni ottiche, così come per lo studio della composizione e del moto delle singole stelle si ricorre ad analisi spettroscopiche nella regione del visibile. Molti dettagli sulla struttura galattica, inoltre, possono essere dedotti da ricerche di radioastronomia, poiché l'idrogeno gassoso presente nei bracci a spirale emette radiazioni elettromagnetiche nella banda delle onde radio dello spettro. Invece, la polvere fredda nel nucleo delle galassie a spirale emette nel range di frequenze caratteristico dell'infrarosso.

Recenti osservazioni sulle lunghezze d'onda dei raggi X emessi hanno confermato che gli aloni galattici contengono gas a temperature di milioni di gradi. Osservazioni nella regione dell'ultravioletto rivelano inoltre le proprietà dei gas negli aloni, e forniscono preziose informazioni sull'evoluzione delle stelle giovani delle galassie.

Un oggetto galattico di notevole interesse dal punto di vista della radiazione emessa è Centaurus A, galassia ellittica situata costellazione del Centauro. Le sue emissioni nelle regioni X e gamma dello spettro sono getti violenti e molto intensi del tipo prodotto dai burster. La galassia è inoltre sorgente di radiazioni nella regione radio dello spettro, disposte lungo l’asse di un disco di accrescimento che circonda il nucleo della galassia.

 

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