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"SSER Sezione Studio e Ricerca"

Sezione di divulgazione scientifica con rubriche periodiche

trattanti argomenti di attualità in ambito fisico, astrofisico ed astronomico.

 a cura dell'esperto e socio Vitantonio Primiceri

Pubblicazione n° 1 del  5 gennaio 2012

NEUTRINI. Viaggerebbero più veloci della luce.

Pubblicazione n° 2 del  26 gennaio 2012

ASTRONOMIA e MITOLOGIA

Pubblicazione n° 3 del  20 febbraio 2012

DISTANZE "ASTRONOMICHE"

Pubblicazione n° 4 del  20 marzo 2012

La GRAVITAZIONE UNIVERSALE

Pubblicazione n° 5 del  21 aprile 2012

Un "COLOSSO" INCANDESCENTE

Pubblicazione n° 6 del  6 luglio 2012

L'Esistenza del BOSONE DI HIGGS

Pubblicazione n° 7 del  5 ottobre 2012

Stella "POLARE" o stelle "POLARI" ?

 

7

 

 

5 ottobre 2012

 Pubblicazione n° 7 della “SSER Sezione Studio e Ricerca”

 Stella "POLARE" o stelle "POLARI" ?

(di Vitantonio Primiceri)

 

Una “stella polare” è per definizione una stella visibile ad occhio nudo, approssimativamente allineata con l’asse di rotazione terrestre .

L’attuale stella polare è α Ursae Minoris (α UMi), la stella più brillante della costellazione dell’Orsa Minore. Essa fa parte di un sistema stellare triplo e si trova a una distanza di circa 433 anni luce; la stella principale del sistema è quella visibile a occhio nudo: è una stella pulsante (Variabile Cefeide) che cambia la sua luminosità del 16% durante un periodo di quasi quattro giorni.  

La costellazione dell'Orsa Minore

Il sistema stellare triplo della Stella Polare

Poiché si trova quasi perfettamente sulla proiezione in cielo dell'asse di rotazione terrestre, α Ursae Minoris è apparentemente ferma nel cielo mentre tutte le altre stelle sembrano ruotarle attorno in senso antiorario. Naturalmente, la definizione di stella polare non vale solo per la Terra, ma anche per gli altri pianeti del sistema solare: il loro asse di rotazione è orientato diversamente rispetto a quello terrestre e ciò implica un differente sistema di riferimento.

L’asse di rotazione terrestre però (così come quello degli altri pianeti) non è sempre fisso: esso compie un moto circolare sulla sfera celeste detto moto di precessione, descrivendo un immaginario cono (un po’ quello che succede per una trottola che sta per fermarsi) e compiendo un giro completo nell’arco di 25800 anni circa.

 

Stelle in rotazione antioraria attorno la Stella Polare

Stelle in rotazione antioraria attorno la Stella Polare

Marte compie invece un moto di precessione in circa 175000 anni terrestri (per calcolare il periodo di precessione per ogni corpo si deve tener presente che esso è proporzionale al momento d’inerzia del corpo stesso e inversamente proporzionale al periodo di rotazione del corpo e al momento meccanico della forza  risultante che agisce su di esso).

Da ciò segue che la nostra Stella Polare non è, non è stata, e non sarà l’unica stella ad assumere il ruolo importantissimo di indicare in buona approssimazione il nord geografico. Nel corso della storia della Terra, infatti, questo ruolo è toccato (è toccherà di nuovo in futuro) anche a Vega, la stella più brillante della costellazione della Lira, a Thuban una stella facente parte della costellazione del Dragone e ad Alrai, stella doppia situata nella costellazione del Cefeo.

L’attuale stella polare, tenendo conto sia del sopracitato moto di precessione della Terra sia del moto proprio della stessa stella (cioè dello spostamento all’interno della galassia), raggiungerà la minima distanza dal polo nord celeste nel febbraio del 2102. Oltre al moto di precessione, è presente anche un moto di nutazione: esso è un moto di oscillazione dell’asse di rotazione di un oggetto che si manifesta in combinazione con un moto di precessione (vedi figura). Questo implica che il numero di stelle che diventano periodicamente polari è in realtà leggermente più alto: a causa del moto di nutazione infatti, c’è, per così dire, più “varietà di scelta”.

 

Moto di "nutazione" della Terra

Moto di "precessione" della Terra

Per la sua caratteristica di indicare costantemente il nord, α Ursae Minoris è stata impiegata da secoli per l’orientamento sulla superficie terrestre: gli antichi marinai ad esempio, non disponendo di strumenti come la bussola, l’astrolabio o l’ottante (magari ancora non inventati) potevano orientarsi solo utilizzando la posizione della Stella Polare o quella del Sole a mezzogiorno (che, a quell’ora, è sempre opposto alla Stella Polare, indicando in questo modo il sud).

E’ molto facile trovare la costellazione dell’Orsa Minore e la Stella Polare: basta partire dalle due stelle del Gran Carro Merak e Dubhe e prolungare la loro distanza per cinque volte fino a incontrare α Ursae Minoris (vedi figura). Prestando attenzione, si riusciranno a osservare anche le altre stelle della costellazione, seppur poco luminose.

Molti sostengono che la Stella Polare sia la stella più luminosa del cielo o che sia la stella più grande o la stella che appare per prima la sera, oppure sostengono che si trovi esattamente allo zenit. Ebbene, la Stella Polare non è nulla di tutto questo. Essa è semplicemente la stella che indica il nord, qui sulla Terra.

Le sue caratteristiche fisiche sono le seguenti: il suo raggio è pari a circa 30 volte il raggio del nostro Sole e la temperatura superficiale è pari a 7200 gradi Kelvin; la sua massa è invece pari a 5 o 6 masse solari.

Come trovare la Stella Polare

E nell’emisfero australe? In questo emisfero esiste una stella polare che indichi il sud? In generale, un pianeta possiede due stelle polari: una per il polo nord, l’altra per il polo sud (ad esempio, 15 Orionis è la stella polare che indica il sud su Urano, δ Octantis quella che indica il sud su Saturno, δ Doradus quella che indica il sud sulla nostra Luna, ecc.).

Tali stelle potrebbero però non essere sufficientemente luminose da essere visibili a occhio nudo e spesso si ricorre a particolari allineamenti tra stelle più brillanti per stabilire in buona approssimazione la posizione del polo. Attualmente, per quanto riguarda il pianeta Terra, la stella più vicina al polo sud celeste è σ Octantis, ma la sua scarsa luminosità la rende difficilmente visibile a occhio nudo; viene allora utilizzata la costellazione della Croce del Sud, composta da stelle molto più luminose: si sfrutta l’allineamento delle stelle Gracrux e Acrux che puntano verso sud.

Naturalmente, chi vive in prossimità dell’equatore riesce a osservare sia la stella α Ursae Minoris, sia la costellazione della Croce del Sud: nella zona equatoriale infatti, entrambe si trovano basse sull’orizzonte e opposte una all’altra.

Per finire, una curiosità: non tutti i corpi del sistema solare hanno una stella polare! Alcuni asteroidi, ad esempio, hanno due assi di rotazione (a causa dell’impatto con altri oggetti celesti) e per questo motivo se un eventuale astronauta esplorasse la loro superficie, non vedrebbe nessuna stella rimanere fissa in cielo.

La costellazione della "Croce del Sud" nell'Emisfero Australe

 

 

Vitantonio Primiceri    

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6

 

 

6 luglio 2012

 Pubblicazione n° 6 della “SSER Sezione Studio e Ricerca”

 L'Esistenza del BOSONE DI HIGGS, la PARTICELLA della MASSA

(di Vitantonio Primiceri)

 

La scoperta del bosone di Higgs, annunciata ufficialmente il 4 luglio 2012, era nell’aria già da tempo.

Tale particella prende il nome da un fisico britannico, Peter Higgs, che ha dato un importante contributo allo sviluppo delle teorie fisiche che cercano di spiegare l’origine della massa delle particelle elementari. Il cosiddetto “Meccanismo di Higgs” prediceva infatti l’esistenza di una nuova particella subatomica, chiamata per l'appunto ”bosone di Higgs”.

Il logo dell'Esperimento ATLAS

Peter Higgs

Ed ecco la notizia: il bosone di Higgs è stato in effetti osservato. Gli esperimenti CMS e ATLAS, condotti presso il CERN di Ginevra, hanno rilevato una particella compatibile con le caratteristiche del bosone di Higgs. Questa particella conferisce massa a tutte le altre particelle esistenti e quindi a tutta la materia dell’Universo visibile.

L’importanza di questa particella è dovuta al fatto che essa è necessaria per completare il cosiddetto Modello Standard (MS), una teoria quantistica dei campi che è in grado di descrivere tre delle quattro forze naturali fondamentali: l’interazione forte, l’interazione elettromagnetica e quella debole (queste ultime due sono state unificate nell’interazione elettro-debole) e  tutte le particelle elementari collegate a queste forze. La forza gravitazionale rimane esclusa da tale modello.

Un evento nell'acceleratore di particelle

Large Hadron Collider (LHC)

Le equazioni di base del Modello Standard sembrano richiedere che tutte le particelle elementari siano prive di massa. Peter Higgs, insieme ad altri fisici propose allora nei primi anni sessanta una nuova teoria per cercare di integrare le equazioni di tale modello e renderle compatibili con il fatto che le particelle elementari hanno una massa.

Il Modello Standard comprende 24 particelle elementari organizzate in due famiglie: i quark e i leptoni. I quark e i leptoni sono i veri e propri costituenti della materia. Altre 12 particelle invece, trasportano le quattro forze della natura. Il bosone di Higgs costringe queste particelle a interagire e ad aggregarsi, dando loro una massa. Una descrizione molto simpatica del bosone di Higgs viene fatta paragonandolo ad un personaggio famoso che entra in una stanza piena di persone: il personaggio famoso attira a sé i presenti e mentre egli si muove attrae le persone più vicine a lui, che sono in cerca magari di un suo autografo. Questo affollamento che si crea aumenta la resistenza al movimento e il personaggio acquisisce massa. Allo stesso modo, le particelle che attraversano il campo di Higgs (un campo che permea lo spazio e che è pieno di questi bosoni), interagendo tra loro, riducono la loro velocità a causa di questa forma di attrito: esse allora non viaggiano più a velocità prossime a quelle della luce e acquisiscono una massa.

 

L'Esperimento ATLAS

Un evento nell'acceleratore di particelle

Il bosone di Higgs era fino a poco tempo fa l’unica particella prevista dal Modello Standard a non essere ancora stata osservata. Tale particella è stata cercata facendo scontrare dei fasci di protoni ad altissima energia all’interno degli acceleratori di particelle presenti al CERN di Ginevra. Dopo lo scontro, essendo il bosone di Higgs poco stabile, esso decade quasi subito ed è quindi estremamente difficile osservarlo direttamente nell’enorme quantità di particelle che vengono generate dalla collisione dei fasci di protoni. Lo scorso dicembre però era già stata trovata una traccia del bosone in questione. Certo, poteva trattarsi di un errore oppure di una traccia di una particella comunque molto diversa da quella aspettata, ma analisi statistiche e ulteriori conferme hanno dato una probabilità di errore (cioè una probabilità che non si trattasse del bosone di Higgs) pari allo 0.000028 % con l’esperimento CMS e  addirittura inferiore a questo valore con l’esperimento ATLAS. Le verifiche del Modello Standard si sono mostrate (fino ad oggi) in accordo con le previsioni, ma tale modello, non si può considerare definitivo in quanto, come già accennato, non include una descrizione della forza di gravità e non è compatibile con la relatività generale di Albert Einstein.

 

Peter Higgs

Uno degli eventi candidati Higgs registrati da CMS

Il Modello Standard perciò, è un modello senza dubbio aperto e in continuo aggiornamento; ulteriori scoperte potrebbero suggerire che è necessario guardare oltre e considerare altre teorie. Erano già presenti infatti altri modelli, tra cui il modello dinamico della superunificazione e del dualismo onda-particella elaborato dal fisico Alex Kaivarainen, che rifiutavano l’esistenza del bosone di Higgs.

Il bosone di Higgs è noto al pubblico anche con il nome di “particella di Dio”. Questo nome deriva da un libro di Leon Lederman (fisico statunitense) “The God Particle”, pubblicato nel 1993. Tale titolo derivò da una censura da parte dell’editore del titolo originale “The Goddam Particle” (“La Particella Maledetta”).

La fisica moderna è dunque in continuo stravolgimento: la confermata esistenza del bosone di Higgs ha aperto nuovi dubbi su alcune teorie e nuove domande cercano impazienti una risposta. I due esperimenti continueranno nel corso dei prossimi mesi a raccogliere nuovi dati grazie al Large Hadron Collider (LHC), l’acceleratore di particelle situato presso il CERN di Ginevra. Grazie a questi dati sarà approfondito lo studio della particella.

 

Vitantonio Primiceri    

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5

 

 

21 aprile 2012

 Pubblicazione n° 5 della “SSER Sezione Studio e Ricerca”

 Un "COLOSSO" INCANDESCENTE

(di Vitantonio Primiceri)

 

Il Sole è stato sempre considerato dall’uomo come un’entità dal significato speciale. Molte culture antiche lo concepivano come una divinità da adorare o come un fenomeno soprannaturale.

Grazie all’introduzione del telescopio in astronomia, si delineò nel XVII secolo un nuovo approccio allo studio del Sole. Da allora fu considerato un corpo in evoluzione e fu studiato sistematicamente.

 

La struttura del Sole

Joseph von Fraunhofer

Gli studi sulla rifrazione e sulla dispersione della luce di Joseph von Fraunhofer nei primi anni del 1800 portarono all'invenzione dello spettroscopio e allo sviluppo della scienza della spettroscopia. Tali strumenti furono presto utilizzati per l’analisi dello spettro solare: l’accuratezza degli studi di Fraunhofer, infatti, gettò le basi per lo studio dell’atmosfera solare. Questi studi indicarono che la nostra stella è composta di materia ordinaria: il 74% della sua massa è composto da idrogeno, il 24-25 % da elio, con tracce di elementi più pesanti. Il Sole emette energia in modo approssimativamente costante in ogni direzione dello spazio. Ogni secondo, 594 milioni di tonnellate di idrogeno vengono trasformate in 590 milioni di tonnellate di elio; i 4 milioni di tonnellate di differenza vengono trasformati in energia (come viene spiegato dalla legge di Einstein  QUOTE  (): un’energia impressionante, paragonabile a quella rilasciata da un’esplosione di una bomba atomica di 100 miliardi di megaton.

Come la Terra e i restanti pianeti del sistema solare, la nostra stella ha un nucleo centrale di 300.000 km  di diametro. Qui la temperatura raggiunge i 16.000.000 di gradi Kelvin e la densità è 150 volte quella dell’acqua. Il raggio medio è di 696.000 km, circa 110 volte quello terrestre: il suo volume è quindi 12.000 volte quello del nostro pianeta.

 

Le macchie solari

Un ingrandimento di tre macchie solari

I progressi nello studio del Sole furono ottenuti anche grazie allo sviluppo di nuovi strumenti di misurazione: lo spettroeliografo, che consente di rilevare alcune caratteristiche della cromosfera e della fotosfera; il coronografo, che consente lo studio della corona solare anche in assenza di eclissi; il magnetografo, che misura l’intensità del campo magnetico sulla superficie solare.

Nei primi anni del 1900, l’astronomo George Ellery Hale scoprì che le macchie solari, regioni della superficie caratterizzate da una temperatura minore rispetto all’ambiente circostante, sono sede di forti campi magnetici. Le macchie solari compaiono di solito a coppie e hanno dei cicli di vita di undici anni: un’ipotetica macchia che si trovi nell’emisfero meridionale del Sole ha polarità opposta rispetto a quella che si trova nell’emisfero settentrionale (le macchie solari tendono a formarsi simmetricamente nei due emisferi e alla stessa latitudine). Alla fine del ciclo di undici anni la polarità s’inverte e inizia così un nuovo ciclo. Tali macchie hanno però vita breve poiché durano in media qualche mese: per ciclo solare s’intende perciò un insieme di processi ben più profondi, non meramente basato sull’osservazione e il monitoraggio di queste particolari regioni della superficie solare.

Il campo magnetico terrestre incontra il vento solare

 La tempesta solare del 30 ottobre 2003 (SOHO)

Lontano dalla superficie del Sole, circa a uno o due raggi solari di distanza, l’intensità del campo magnetico del Sole è talmente forte da intrappolare il materiale caldo proveniente dalla corona, la parte esterna dell’atmosfera solare che si estende per decine di milioni di kilometri nello spazio, in modo tenue. Il flusso di materiale espulso dalla corona è detto vento solare ed è la causa delle meravigliose aurore boreali e australi; tali bagliori si manifestano quando il vento solare (costituito da particelle cariche, cioè protoni ed elettroni) viene catturato dal campo magnetico terrestre: queste particelle collidono con le molecole di gas dell’atmosfera terrestre, eccitandole; tale fenomeno provoca così l’emissione di luce visibile. Alcune aurore sono state osservate anche nell’atmosfera di altri pianeti del sistema solare, in particolare in quella di Giove.

 

Schema semplificato delle reazioni di fusione nucleare che avvengono sul Sole

Il Sole continuerà a bruciare il suo carburante (cioè a trasformare l’idrogeno in elio e l’elio in elementi più pesanti) per altri 4,5 miliardi di anni ma una volta esaurito il suo combustibile, si espanderà fino a raggiungere l’orbita della Terra diventando una stella gigante rossa, molto più brillante ma più fredda. Passata questa fase, la nostra stella si contrarrà e diventerà una nana bianca: la sua densità aumenterà di conseguenza, e la stella si raffredderà lentamente per miliardi di anni.

Con l’inizio dell’era spaziale e delle esplorazioni del sistema solare, numerosi sono stati i satelliti esploratori della nostra stella: i primi satelliti progettati per l’osservazione solare furono i Pioner 5, 6, 7, 8 e 9 della NASA.  Negli anni ‘70 la sonda Helios 1 e la stazione spaziale Skylab fornirono agli scienziati numerose informazioni sul vento solare e sulla corona.

La sonda Ulysses

La sonda SOHO (Solar and Heliospheric Observatory) fu lanciata nel 1995 si è rivelata un gran successo poiché ha garantito un’osservazione costante della nostra stella in gran parte delle lunghezze d’onda dello spettro elettromagnetico. La sonda Ulysses venne lanciata nel 1990 per studiare le regioni polari del Sole. Più recente è invece la missione STEREO (Solar Terrestrial Relations Observatory) che ha il compito di creare una visione stereoscopica (ovvero in tre dimensioni) della nostra stella.

 

 

Vitantonio Primiceri    

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4

 

 

20  marzo 2012

 Pubblicazione n° 4 della “SSER Sezione Studio e Ricerca”

 La GRAVITAZIONE UNIVERSALE

(di Vitantonio Primiceri)

 

L’esperienza quotidiana ci dice che ogni corpo, se lasciato libero di cadere da fermo, raggiunge il suolo con una certa velocità. Ogni corpo è dunque soggetto ad una forza rivolta verso il basso che lo accelera fino a che esso non incontri un ostacolo in grado di interrompere il suo moto.

Le leggi fisiche che spiegano perché se lanciamo una pietra verso l’alto essa tende a ritornare verso il basso sono le stesse leggi che spiegano i moti di rivoluzione dei pianeti del sistema solare intorno al Sole, i moti delle stelle, delle galassie, e in generale di ogni altro oggetto celeste: sono le leggi della gravitazione universale.

 L’astronomo greco Tolomeo

Il “Sistema Tolemaico”

Fin dall’antichità molti astronomi hanno cercato di descrivere in dettaglio i moti dei pianeti.

I primi tentativi furono fatti dagli antichi greci: Tolomeo nel II secolo a.C. sviluppò una teoria secondo la quale la Terra è ferma al centro e i pianeti, il Sole e la Luna ruotano attorno ad essa. Per l’astronomo però, tali astri non descrivono semplici orbite circolari e i loro moti sono più complicati: egli li descrive usando il concetto di epiciclo, secondo il quale un pianeta compie nel suo moto un cerchio attorno a un centro che, a sua volta, descrive un altro cerchio avente come centro la Terra (vedi figura in alto a destra).

Niccolò Copernico (1473 – 1543) si rese conto che il sistema tolemaico presentava molte ambiguità. Egli propose allora un modello nel quale il Sole si trova al centro del sistema solare e la Terra insieme agli altri pianeti ruotano attorno ad esso (vedi figura in basso): questo modello però, pur essendo più semplice di quello tolemaico, non fu subito accettato

 Il “Sistema Copernicano”

 Niccolò Copernico

Anni dopo, l’astronomo danese Tycho Brahe raccolse numerosi dati sui moti dei pianeti.

Questi dati furono analizzati da Giovanni Keplero (1571-1630), il suo assistente. Egli individuò delle regolarità nel moto dei pianeti che lo portarono alla formulazione delle tre leggi che portano il suo nome.

Nel 1665 Isaac Newton, riuscì ad intuire che la forza che causa la caduta di una mela sulla superficie della Terra è la stessa che tiene la Luna vincolata alla sua orbita (prima di Newton il moto dei pianeti era sempre stato considerato diversamente dal moto dei corpi terrestri). Questa intuizione pose le basi per la formulazione di una legge della gravitazione valida per qualunque coppia di corpi nell’universo.

Ma che cos’è esattamente la forza di gravità?

L’interazione gravitazionale è una delle quattro interazioni fisiche fondamentali. Esse sono l’interazione forte, l’interazione debole, l’interazione elettromagnetica e quella gravitazionale. Quest’ultima appunto è dovuta alla presenza di massa. Le altre forze possono essere sia attrattive che repulsive (ad esempio due cariche elettriche possono attrarsi o respingersi, così come possono farlo due calamite), la forza gravitazionale, invece, è sempre attrattiva.

La legge di Newton della gravitazione universale può essere così formulata: due qualsiasi particelle dell’universo si attraggono con una forza il cui modulo è direttamente proporzionale al prodotto delle loro masse e inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza. Essa è diretta lungo la congiungente le due particelle. Quanto appena detto viene scritto in simboli come:  , dove G è una costante universale che ha lo stesso valore per tutte le coppie di particelle (essa vale    ),  me mrappresentano le due masse in questione e r la distanza tra esse. 

La forza che causa la caduta di una mela sulla superficie terrestre è la forza di gravità

 Isaac Newton

 

Alcuni esperimenti indicano che la forza di attrazione gravitazionale tra due particelle qualsiasi non dipende dalla presenza di altri corpi e dalle proprietà del mezzo in cui esse sono immerse. Per fare un esempio, la forza gravitazionale misurata tra due piume che si trovano nello spazio libero e quella che intercorre tra le due stesse piume immerse in un liquido è perfettamente uguale nei due casi (a costo che la distanza tra esse rimanga uguale).

Ma l’intuizione di Newton non fornisce risultati corretti se l’interazione gravitazionale tra due corpi è molto forte. Nei primi anni del 1900, Albert Einstein riuscì ad elaborare una nuova teoria in grado di risolvere questo problema: tale teoria fornisce risultati corretti se l’interazione gravitazionale è forte e si risolve in quella newtoniana se tale interazione è debole.

Al giorno d’oggi la teoria della gravitazione viene utilizzata per stabilire le orbite delle navicelle spaziali inviate dalla Terra verso il nostro sistema solare e oltre. Questa preziosa legge inoltre ci permette di calcolare con accurata precisione l’istante in cui è avvenuta o avverrà un’eclissi solare o un altro fenomeno celeste. Sempre questa legge ha permesso a  Johann Gottfried Galle e a Heinrich Louis d'Arrest di scoprire il pianeta Nettuno: i due astronomi notarono alcune piccole deviazioni di Urano dalla sua orbita e pensarono di poterle attribuire all’attrazione gravitazionale di un pianeta ancora sconosciuto.

La cometa “Halley”

 

Anche Edmond Halley riuscì ad utilizzarla per predire il ritorno (del 1758) della cometa che oggi porta il suo nome. Essa ritornerà nell’estate del 2061!

 

Vitantonio Primiceri    

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3

 

 

20  febbraio 2012 

Pubblicazione n° 3 della “SSER Sezione Studio e Ricerca” 

DISTANZE “ASTRONOMICHE”

(di Vitantonio Primiceri)

 

La precisione nella misura di distanze astronomiche è estremamente relativa... Queste distanze sono completamente estranee alla nostra quotidianità, poiché le lunghezze con cui si ha a che fare in astronomia sono molto spesso inimmaginabili. Con i progressi fatti in ambito tecnologico si è cercato sempre più di aumentarne la precisione, ma è ovvio che se si tratta di distanze enormi, non si è più in grado di effettuare misure “precise al millimetro”. E’ piuttosto probabile che si sia in grado di dare una stima abbastanza accurata della misura della lunghezza in questione.

Facciamo ora qualche esempio, in modo da renderci conto della sterminata vastità dell’Universo.

Partiamo analizzando la distanza di uno degli oggetti più vicini alla Terra: stiamo parlando del nostro satellite naturale, la Luna. La distanza media della Luna dalla Terra è di circa 384.400 Km.

Per effettuare misurazioni accurate in tempo reale della distanza Terra-Luna, si impiega la tecnologia laser: gli impulsi vengono infatti inviati da appositi telescopi verso le apparecchiature riflettenti installate sulla Luna e viene calcolato il tempo di andata e ritorno dell’impulso. La distanza Terra-Luna sarà data dalla metà di tale tempo moltiplicata per la velocità della luce (applicando la semplice formula spazio = velocità x tempo). Utilizzando questo metodo si possono ottenere misure molto precise di tale distanza (basti considerare che un errore di un millimetro è causato da un errore di un milionesimo di milionesimo di secondo sulla misura del tempo).

Prima di andare avanti, introduciamo un’altra unità di misura utilizzata molto dagli astronomi: l’anno luce. Un anno luce, come dice il nome stesso, equivale allo spazio percorso viaggiando nel vuoto dalla luce in un anno. La velocità della luce nel vuoto è pari a 299.792,458 km/s. Con un semplice calcolo si può trovare subito il valore in kilometri di un anno luce: 299.792,458 x 365 x 24 x 60 x 60 = 9.454.254.955.488 km (detto in breve: novemilacinquecento miliardi di kilometri).

Consideriamo ora il Sole.

 

La Terra dista dal Sole in media 149.597.870 km ( = 1 Unità Astronomica, altra unità di misura ampiamente utilizzata), che in anni luce corrispondono a circa 8,33 minuti luce (il minuto luce è un sottomultiplo dell’anno luce). Plutone invece si trova a 5,3 ore luce dalla Terra (la luce del Sole impiega cioè 5,3 ore per arrivare fino a Plutone).

Usciamo ora dai confini del Sistema Solare e andiamo a considerare la distanza della stella a noi più vicina: Proxima Centauri.

Se potessimo farlo, dovremmo viaggiare alla velocità di 299.792,458 km/s per circa 4 anni prima di incontrare tale stella. Sono distanze enormi e difficili da immaginare e comprendere. Volendo fare un modellino in scala usando per la Terra una pallina da 1 cm di diametro, bisognerebbe porre la Luna a circa 30 cm di distanza e Proxima Centauri circa 40.000 km più lontano.

 

Spingiamoci oltre e consideriamo ora l’Ammasso Globulare di Ercole (conosciuto anche come M13). E’ l’ammasso più luminoso visibile dall’emisfero boreale e contiene diverse centinaia di migliaia di stelle. La sua distanza dalla Terra è pari circa a 23.157 a.l. Volendo conoscere la sua distanza dalla Terra in kilometri basta ovviamente moltiplicare 23.157 x 9.454.254.955.488. L’Ammasso Globulare di Ercole si trova, così come tutte le stelle visibili in cielo, all’interno della nostra galassia: a Via Lattea, formata secondo le migliori stime da circa 400 miliardi di stelle. Come quella delle altre galassie, le dimensioni della Via Lattea sono grandissime.

Essa ha un diametro di 100.000 anni luce. E la Terra non è altro che un insignificante puntino ospitato al suo interno.

 

 La Via Lattea, la nostra Galassia

L’unità di misura del “parsec”

Per cercare di facilitare i calcoli numerici evitando di avere a che fare con  cifre impressionanti, gli astronomi utilizzano anche un’altra unità di misura delle distanze astronomiche: il parsec (pc). La sua definizione si basa sul metodo della parallasse trigonometrica, che qui non è il caso di spiegare. Basta dire soltanto che 1 pc equivale a circa 3,261507 anni luce.

Allontaniamoci ora dalla nostra galassia e spostiamoci verso quella a noi più vicina: la Galassia di Andromeda (M31). Essa dista dalla Terra circa 2,54 ± 0,06 milioni di a.l., equivalenti a circa 779.000 +/- 180 pc. E’ una distanza incredibile;  tale galassia è visibile anche ad occhio nudo e si tratta dell’oggetto più lontano visibile dall’uomo senza l’utilizzo di uno strumento ottico.  Per fare un altro esempio, la Galassia Sombrero (si trova nella costellazione della Vergine) è distante invece circa 29,5 milioni di a.l. (9,0 milioni di pc).

 

 La Galassia di Andromeda M31

 Il Telescopio spaziale “Hubble”

Ovviamente l’occhio dei telescopi si è spinto ben oltre queste distanze. Sono stati osservati oggetti distanti addirittura miliardi di anni luce. E’ stata infatti osservata dal telescopio spaziale Hubble una galassia lontana ben 13,2 miliardi di anni luce dalla Terra! E’ forse una delle prime che si siano formate dopo il Big Bang. Il telescopio Hubble ha osservato una piccolissima regione del cielo, eppure in quelle immagini c’erano migliaia e migliaia di galassie.

Tornando sulla Terra, c’è da sottolineare che l’uomo ogni giorno è a contatto con unità di misura di lunghezza decisamente più accessibili: il metro, i suoi multipli e i suoi sottomultipli. Sicuramente, sentir parlare di anni luce o di parsec affascina, così come affascina sapere che la dimensione del diametro del Sole è circa 110 volte quello della Terra o che la dimensione del raggio della stella più grande conosciuta (VY Canis Majoris) è 1800-2100 volte più grande di quello del Sole. Oppure ancora rendersi conto che tale stella non è altro che un piccolo insignificante granello di polvere nell’enorme “stanza dell’Universo”.

Ecco un affascinante  video che riproduce in scala le grandezze di alcuni pianeti e di alcune stelle...

 

Vitantonio Primiceri    

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2

 

26 gennaio 2012

Pubblicazione n° 2 della “SSER Sezione Studio e Ricerca”

ASTRONOMIA e MITOLOGIA

(di Vitantonio Primiceri)

 

Se si osserva il cielo da un luogo abbastanza buio, lontano da fonti luminose, il numero di stelle visibili in una notte è pari circa ad un migliaio.

A prima vista, il cielo potrebbe sembrare un groviglio inestricabile di puntini luminosi ma un osservatore paziente e fantasioso, anche non avendo nessuna nozione di astronomia, potrebbe comunque essere in grado di identificare nel cielo stellato forme geometriche ben precise. E’ questo in sostanza ciò che l’uomo ha fatto fin dai tempi del Paleolitico: osservare il cielo stellato era importante sia per orientarsi, misurare lo scorrere del tempo o definire il periodo della semina e del raccolto, sia per interpretare determinati eventi chiedendo aiuto alle divinità astrali.

Nacquero presto le prime costellazioni (dal latino constellatio,  cum+stellatus), gruppi di stelle che assumono una particolare forma sulla volta celeste. Queste forme, è ovvio, sono frutto della pura immaginazione dell’uomo e le stelle che nel cielo appaiono vicine tra loro, nello spazio tridimensionale potrebbero trovarsi molto distanti (è solo una questione di prospettiva). Bisogna sottolineare che ciascun popolo ha composto le sue figure e ha dato loro un nome secondo la propria fantasia, lasciandosi ispirare dalla propria cultura. Certamente la tradizione greca insieme con quella romana e araba ha poi influenzato tutto il mondo occidentale.

 Oggi con il termine costellazione ci si riferisce sia alla figura formata da stelle specifiche, sia alla precisa regione di cielo racchiusa da determinati confini. L’UAI (Unione Astronomica Internazionale) ha diviso l’intero cielo in 88 costellazioni ufficiali, ognuna con dei confini ben precisi. Le 88 costellazioni si dividono in tre gruppi: 18 costellazioni boreali, 34 equatoriali e 36 australi.

 

Crono divora Poseidone (dipinto di Rubens)

Le costellazioni visibili dall’emisfero boreale hanno nomi che, come detto, si rifanno alla mitologia classica. Per fare alcuni esempi, la costellazione di “Orione” ha il nome di un famoso cacciatore che, secondo la leggenda, si vantava di riuscire a sottomettere qualsiasi animale; “Cassiopea”, invece, credeva di essere la più bella delle Nereidi, le ninfe del mare; la costellazione dello “Scorpione” è dedicata allo scorpione che secondo la mitologia punse a morte Orione; la “Corona Boreale” (un diadema d’oro creato da Efesto) è simbolo del dono che Dioniso dette ad Arianna, figlia di Minosse e Pasifae, come regalo di nozze: secondo il mito, il diadema divenne in seguito una costellazione.

La costellazione di Orione

La costellazione di Cassiopea

Anche il nome di alcune stelle deriva dalla tradizione classica. Emblematico è il caso delle due stelle più brillanti della costellazione dei Gemelli, Castore e Polluce: questi sono due personaggi della mitologia greca e romana, figli gemelli di Zeus e Leda, conosciuti come i Diòscuri (ossia “figli di Zeus”); la stella più brillante della costellazione dello Scorpione, Antares, ha invece il nome che deriva dal greco e significa “rivale di Marte”: il suo colore è infatti rosso-arancione, simile a quello del pianeta.  

La maggior parte delle altre stelle ha nomi parlanti che ne descrivono particolari caratteristiche: Altair, ad esempio, la stella più luminosa della costellazione dell’Aquila, è l’abbreviazione di un’espressione araba che significa “l'aquila volante”; il nome originario della stella Vega, deriva da una trascrizione di una parola araba estratta dalla frase “l’avvoltoio planante”; Aldebaran, la stella più luminosa della costellazione del Toro, deriva il suo nome dalla parola araba al-Dabarān, che significa "l'inseguitore", poiché la stella sembra seguire l'ammasso stellare delle Pleiadi nel suo moto notturno.

La costellazione della Corona Boreale

La costellazione del Toro

Per concludere (l’elenco è infatti molto lungo!) citiamo Deneb, stella più luminosa della costellazione del Cigno, che deriva il suo nome dall'espressione araba Dhànab al-'Ukàb (La "coda" del cigno). 

Le costellazioni dell’emisfero sud erano invece sconosciute nell’antichità  e i loro nomi non hanno perciò nessun riferimento mitologico. Tali costellazioni sono state scoperte durante il XVII secolo, il secolo delle grandi esplorazioni.  L'abate Nicolas-Louis de Lacaille (15 Marzo 1713 – 21 Marzo 1762) astronomo francese pubblicò il Coelum Australe Stelliferum e introdusse 14 nuove costellazioni australi: la Bussola, il Bulino, il Compasso, la Fornace, la Macchina Pneumatica, la Mensa, il Microscopio, l'Orologio, l'Ottante, il Pittore, il Regolo, il Reticolo, lo Scultore ed il Telescopio. Molte delle costellazioni australi sono dunque dedicate a nuovi strumenti scientifici o a nuove specie animali (ad esempio la costellazione del Tucano o quella del Pavone).
   

La costellazione del Pavone nell’emisfero australe

La costellazione del Telescopio nell’emisfero australe

Anche i nomi dei pianeti del sistema solare, infine, sono fortemente legati alla mitologia classica (formano addirittura un albero genealogico): Urano, dio del cielo e sposo di Gea (Terra) è il padre dei Titani (ciclopi e giganti dalle cento braccia). Fra essi, il più importante è Crono (Saturno).  Zeus (Giove) è figlio di Crono, e sposa la sorella Era. Ares (Marte) è figlio di Zeus ed Era; Ermes (Mercurio) è invece figlio di Zeus e Maia; Afrodite (Venere) è figlia di Zeus e Dione. Poseidone (Nettuno), dio del mare, è fratello di Zeus.

Analogo discorso si potrebbe fare con i nomi assegnati ai tanti satelliti naturali scoperti negli ultimi tre secoli.

 

Vitantonio Primiceri

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5 gennaio 2012

Pubblicazione n° 1 della “SSER Sezione Studio e Ricerca”

NEUTRINI. Viaggerebbero più veloci della luce.

(di Vitantonio Primiceri)

 

Negli ultimi mesi si è sentito spesso parlare di “neutrini”. Probabilmente quasi tutti ignorano la loro esistenza, eppure queste strane entità potrebbero mettere in crisi la teoria della relatività di Einstein e la fisica moderna.

Sulla Terra arrivano ogni secondo all’incirca 60 miliardi di neutrini per centimetro quadrato: essi sono prodotti dalle reazioni termonucleari che avvengono all’interno del Sole e attraversano indisturbati la Terra. Attraversano proprio tutto: enormi spessori di acqua, roccia e qualsiasi altra sostanza; sono particelle molto strane poiché per loro la materia è “trasparente” .  Esperimenti recenti hanno mostrato che il neutrino ha una massa, seppur molto piccola: da 100'000 a 1'000'000 di volte inferiore a quella dell’elettrone (la massa dell’elettrone è circa uguale a 9.11 x 10^-31 kg). Queste particelle non hanno carica elettrica (da qui deriva il loro nome, coniato da Enrico Fermi, diminutivo di neutrone, un’altra particella neutra  dotata di una massa di gran lunga maggiore) e ve ne sono di tre specie: elettronici, muonici e tau. Ogni specie oscilla, cioè si trasforma da una all’altra.

I neutrini interagiscono, seppur debolmente, solo attraverso la forza di gravità e la forza nucleare debole, ma  gli scienziati negli ultimi trent’anni sono comunque riusciti a catturare con particolari artifici queste strane particelle per studiarne il comportamento. Il premio Nobel per la Fisica del 2002 è stato assegnato a tre scienziati: Riccardo Giacconi, Raymond Davis e Masatoshi Koshiba. Giacconi ha avuto il Nobel per essere stato il primo a scoprire astri che emettono raggi X; Davis e Koshiba sono stati premiati proprio per essere riusciti a catturare dei neutrini provenienti dallo spazio.

Albert Einstein

Il Rilevatore di Neutrini "OPERA" del Gran Sasso

Gli studi di Antonio Ereditato, fisico italiano e professore all’Università di Berna hanno sconvolto la comunità scientifica: i neutrini sarebbero in grado di viaggiare ad una velocità superiore a quella della luce, una scoperta, che se confermata, rivoluzionerebbe molti aspetti della fisica moderna. Il gruppo di ricerca, guidato dal prof. Ereditato ha condotto negli ultimi tre anni vari esperimenti sulla fisica del neutrino. Ed ecco la notizia del Settembre scorso: un fascio di neutrini generato artificialmente è stato proiettato dal CERN di Ginevra verso il rilevatore di particelle OPERA (Oscillation Project with Emulsion-tRacking Apparatus) del laboratorio sotterraneo del Gran Sasso su una distanza complessiva di circa 723 chilometri, ma il tempo impiegato per coprire tale distanza è stato inferiore di 60 nanosecondi rispetto al tempo che avrebbe impiegato la luce viaggiando nel vuoto (299'792,458 km/s). E’ come se il fascio di neutrini arrivato al traguardo, avesse lasciato indietro di una ventina di metri un ipotetico raggio di luce partito nello stesso istante. Potrebbe essere uno sbaglio sostengono in molti, ma la distanza percorsa è stata calcolata grazie a strumenti sofisticatissimi e il tempo impiegato è stato misurato servendosi di orologi atomici sincronizzati tra Ginevra e il Gran Sasso. La velocità dei neutrini fu già ricavata nel 1987 dall’esplosione di una supernova e si ottenne un valore molto vicino a quello della velocità della luce; nel 2007 un altro esperimento ottenne un valore della velocità simile a quello attualmente in questione, ma la misurazione venne considerata inaffidabile dal punto di vista statistico.  

Alcune apparecchiature del laboratorio del Gran Sasso

La struttura sotterranea del laboratorio del Gran Sasso

Se confermata da altri studi ed esperimenti, la scoperta italo-svizzera avrebbe una portata storica:  darebbe forza alle ipotesi (per ora fantascientifiche) di viaggiare indietro nel tempo e violerebbe il “principio di causalità”, secondo il quale la causa di qualsiasi fenomeno avviene sempre prima dell’effetto.

Tale scoperta sarebbe quindi in contrasto con il postulato fondamentale della teoria della relatività di A. Einstein, e cioè che nulla può superare la velocità della luce. Se una persona dall’interno della sua auto, che viaggia a 70 km/h, tira dal finestrino un oggetto con una velocità di 20 Km/h nella stessa direzione in cui l’auto viaggia, un’altra persona che osserva la scena dalla strada vedrà l’oggetto muoversi a 70 + 20 = 90 Km/h. Secondo Einstein ciò è vero solo se le velocità in questione sono molto più piccole della velocità della luce: in questo caso, sommando semplicemente le due velocità si ottiene un’ottima approssimazione del risultato vero. Il problema sorge se le velocità sono molto più alte, poiché la semplice somma non dà più il risultato corretto. Ritorniamo all’esempio dell’auto: immaginiamo un’auto ferma e con i fari accesi. La velocità della luce emessa dai fari sarà circa uguale a 300'000 km/s, cioè 300'000'000 m/s; ora immaginiamo che l’auto viaggi con i fari accesi con una velocità di 100 km/h, equivalente a circa 28 m/s. La velocità della luce emessa dai fari dell’auto in movimento, secondo il senso comune, sarà di 300'000'000 + 28 = 300'000'028 m/s. Ma non è così. La velocità della luce emessa dai fari con l’auto in movimento sarà sempre pari a 300'000'000 m/s. Ciò può sembrare strano, eppure è confermato da leggi matematiche.  Gli uomini hanno a che fare nella vita di ogni giorno con velocità decisamente molto più piccole della velocità della luce e quanto detto sopra sembra non avere alcun senso.

L'acceleratore di particelle del CERN (Ginevra)

Sezione dell'acceleratore di particelle del CERN (Ginevra)

La velocità della luce nel vuoto è considerata dunque una costante e se ciò non dovesse essere più vero emergerebbero gravi contraddizioni che porterebbero necessariamente ad una ricostruzione profonda della fisica moderna. Intanto sono cominciati negli Stati Uniti alcuni esperimenti che dovrebbero confermare o smentire la notizia, mentre il lavoro tra Italia e Svizzera continua, concentrando la propria ricerca soprattutto sulla capacità dei neutrini di oscillare da una specie all’altra, obiettivo primario dell’esperimento.

 

Vitantonio Primiceri

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Vitantonio Primiceri è nato il 19 Dicembre 1992 a Tricase (Le) e risiede tutt'ora a Casarano (Le).

 Ha frequentato il Liceo Scientifico Statale “Giulio Cesare Vanini” della stessa città, conseguendo la maturità col massimo dei voti nel 2011. Attualmente è iscritto alla Facoltà di Fisica dell’Università degli Studi di Lecce e da tre anni fa parte dell’"Associazione Astronomica San Lorenzo" con sede in Casarano. Vitantonio è appassionato di Astronomia, Fisica ed Astrofisica... Questa sua passione lo ha portato a far parte dell’Associazione suddetta collaborando attivamente con essa in tutte le sue iniziative.

 

PARCO ASTRONOMICO SAN LORENZO

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